Chrd denuncia la “persecuzione” dell’attivista Chen Yunfei
Arrestato il 25 marzo per aver organizzato una commemorazione delle vittime del massacro di Tienanmen. L’organizzazione di tutela dei diritti umani afferma che l’attivista, imprigionato per aver esercitato il suo diritto alla libertà di espressione, va rilasciato subito.
Washington (AsiaNews) - Chinese Human Rights Defenders (Chrd), organizzazione per la tutela dei diritti umani con sede a Washington, chiede al governo cinese di rilasciare “subito e in modo incondizionato l’attivista per i diritti umani Chen Yunfei (陈云飞) invece di sottoporlo al processo previsto per il 26 dicembre al tribunale del distretto Wuhou nel Chengdu!.
La corte ha informato il suo avvocato, Liu Zhengqing (刘正清), che Chen sarà processato con l’accusa di aver “fomentato dispute e aver provocato disagi”. Il Chrd in una nota sostiene di aver notato che le autorità sembrano aver ritirato il secondo capo d’accusa contro Chen – “incitare alla sovversione contro il potere dello Stato”. In ogni caso, Chen ha avuto un prolungamento immotivato di 21 mesi del suo stato di detenzione preventiva come ritorsione aver esercitato il diritto di libertà d’espressione. Il suo diritto ad avere un giusto processo e i suoi diritti umani sono stati violati. Il Chrd rinnova il proprio appello per ottenere il suo rilascio e richiede un’inchiesta per esaminare il suo caso e quello dei funzionari sospettati di aver violato i suoi diritti.
Il 30 aprile 2015, la polizia del Sichuan ha arrestato in via formale il 49enne Chen Yunfei perché sospettato di aver “incitato alla sovversione contro il potere dello Stato” e “aver creato disagi”. All’inizio Chen era stato preso in custodia il 25 marzo per aver organizzato una commemorazione delle vittime del massacro del 1989 a Piazza Tienanmen durante il festival di Qingming, in cui i cinesi venerano i loro antenati e ne visitano le tombe. Da quel giorno Chen è stato imprigionato nel centro detentivo della contea di Chengdu.
La detenzione di Chen Yunfei, afferma Chrd, “è un chiaro atto di repressione del suo attivismo per i diritti umani, in particolare per i suoi sforzi di tenere vivo il ricordo degli eventi – legati al movimento democratico del 1989 – che hanno reso il governo cinese colpevole della soppressione violenta di manifestanti pacifici”. Chen è un importante difensore dei diritti umani del Sichuan e nel 1989 ha partecipato al movimento come studente dell’Università agraria cinese di Pechino. Egli ha sostenuto e condotto campagne per spingere il governo cinese a indagare sul massacro di Piazza Tiananmen e risarcire le vittime. Chen ha spesso fatto ricorso ad umorismo e “arte performativa”nelle campagne di sostegno per promuovere i diritti umani. Una volta ha eluso la censura e ha pubblicato su un importante quotidiano statale un messaggio che incitava a “salutare le madri delle vittime” del 1989.
Gli sforzi compiuti da Chen lo hanno reso spesso bersaglio di aggressioni, molestie e detenzioni arbitrarie dalla polizia. Ad esempio, nel maggio 2013 è stato pedinato e aggredito in strada da quattro individui non identificati per poi essere ricoverato a causa delle ferite. Secondo quanto riferito, uno degli assalitori sarebbe il “capo della sicurezza” di un villaggio vicino, che non è mai stato indagato.
Durante il periodo di detenzione preventiva Chen ha subito numerose violazioni del diritto a un equo processo. Dopo il periodo di fermo, la sua famiglia lo ha cercato disperatamente per 10 giorni ma le autorità hanno ignorato le loro richieste e non hanno fornito ai familiari alcuna informazione sul suo stato o la sua collocazione. Sebbene il 26 marzo 2015 Chen sia stato incarcerato in modo formale, la polizia non ha comunicato nessun avviso ufficiale alla famiglia fino al 3 aprile, un lasso di tempo che viola la legge per le procedure penali cinesi (Cpl). Tale legge prevede che i familiari di un detenuto debbano ricevere l’avviso di detenzione entro 24 ore (Articolo 83). Quando alla fine di marzo la sua famiglia si è recata alla stazione di polizia locale per presentare la denuncia di scomparsa, i funzionari si sono rifiutati di accettarla. I familiari e gli avvocati hanno il timore che Chen sia stato sottoposto a torture e altre forme di violenza nel corso della reclusione in isolamento a causa della lunga durata della sua prigionia, del divieto di consultarsi con un avvocato e dei duri maltrattamenti subiti durante la detenzione iniziale nella succursale Jitou della stazione di polizia Wuhou.
Le autorità hanno continuato a tenere Chen in isolamento anche dopo che la famiglia ha ricevuto l’avviso di detenzione. Esse hanno vietato a Chen di incontrare il suo avvocato in due occasioni (7 aprile e 26 giugno del 2015) e lo hanno tenuto recluso per quasi sei mesi senza poter comunicare col proprio legale. Questa è una violazione del Cpl, che stabilisce che a un imputato debba essere consentito consultarsi con un avvocato entro 48 ore dalla richiesta (Articolo 37). Le autorità hanno impedito all’avvocato di incontrare Chen poiché secondo loro il caso riguardava la “sicurezza nazionale”, motivazione che consente di avvalersi di un’ampia e arbitraria normativa che permette alla polizia di tenere un detenuto in una località isolata se ritenuto un “pericolo” per la sicurezza nazionale.
Il diritto di Chen Yunfei di avere accesso a un consulto legale in seguito è stato ostacolato perché le autorità hanno limitato gli spostamenti di uno dei suoi avvocati, Sui Muqing (随牧青). Egli è stato sequestrato da casa propria il 10 giugno 2015, meno di due settimane dopo aver richiesto di vedere Chen. Sui è stato poi messo sotto “sorveglianza residenziale in una località ignota” per sei mesi, in quanto sospettato di “incitare alla sovversione contro il potere statale”. La detenzione di Sui è stata parte di una repressione ancora più grande degli avvocati cinesi per i diritti umani, che sono perseguitati come mai prima per aver seguito casi “sensibili” in ambito politico.
In conclusione, Chrd dichiara che Chen Yunfei è stato detenuto solo a causa del suo pacifico esercizio dei diritti espressi dalla Dichiarazione universale dei Diritti Umani (Udhr). La privazione della libertà di Chen da parte del governo cinese avvenuta negli ultimi 21 mesi è la ritorsione per il suo esercizio dei diritti garantiti dagli articoli 7, 13, 14, 18, 19, 20 e 21 della Dichiarazione. Le autorità cinesi hanno anche mancato di rispettare le norme internazionali relative al diritto a un giusto processo, enunciate dall’Udhr e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici approvata dalla Cina. Chen Yunfei è stato imprigionato in modo arbitrario e dev’essere rilasciato subito. Il governo cinese deve anche indagare i funzionari sospettati di aver violato i diritti di Chen e che lo hanno tenuto in detenzione arbitraria.