Chiesa in Myanmar, cinque secoli di storia missionaria (Scheda)
Yangon (AsiaNews) - L'evangelizzazione della Birmania - oggi Myanmar - inizia intorno ai primi anni del XVI secolo. La presenza accertata dei primi missionari risale al 1511 e, proprio per questo, le celebrazioni per i 500 anni erano in programma nel 2011; tuttavia, circostanze politiche, motivi legati alla sicurezza - il Paese viveva una fase di transizione dalla dittatura militare a un governo semi-civile - e mancanza di una vera libertà religiosa non hanno permesso il regolare svolgimento delle celebrazioni.
Dal primo ingresso nel Paese, la presenza di sacerdoti domenicani, francescani e gesuiti si fa sempre più radicata e negli anni consente di dar vita alle prime comunità cristiane; essi sono concentrate soprattutto nel sud del Paese dove, ancora oggi, vi è traccia nei nomi della dominazione portoghese. Nel 1648 Propaganda Fide cerca di fondare una vera missione ad opera dei cappuccini e nel 1704 affida l'impresa alle Missioni Estere di Parigi. Ma i due tentativi non hanno successo, anche per le continue guerre che imperversano in ampie zone del Paese. Il 27 novembre 1806 la congregazione vaticana divide la Birmania in tre vicariati, con un riferimento alla collocazione geografica: settentrionale, orientale e meridionale. I confini vengono quindi abrogati il 28 giugno 1870, con un successivo decreto di Propaganda Fide che getta le basi per la moderna ripartizione dei territori della Chiesa birmana: le tre province Ecclesiastiche di Mandalay, Taunggyi e Yangon.
L'opera evangelizzatrice del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) risale al 1867, quando i primi sacerdoti iniziano il loro cammino nella zona orientale; nel tempo essi contribuiscono alla fondazione di un'arcidiocesi e di cinque diocesi. Il metodo dei missionari era quello di lasciare le città, per andare a visitare villaggi lontani e vivere con le popolazioni: un metodo che piacerebbe a papa Francesco, che chiede di continuo ai cristiani di "uscire" verso le "periferie esistenziali e geografiche". Coi missionari del Pime queste tribù hanno scoperto l'uso del mattone, i servizi igienici, la scrittura, l'esistenza di un mondo attorno al perimetro della loro tribù. È stato un inserimento cosciente nella storia comune del mondo; anche per questo il Pime è sempre rimasto sul posto, nonostante i cinque martiri, molti missionari espulsi e varie situazioni di quasi persecuzione.
Nel 1962 il generale Ne Win instaura una dittatura militare di stampo socialista che, attraverso ricambi nella leadership, guida il Paese fino al 2010; in questi 40 anni le scuole cattoliche vengono nazionalizzate e tutti i missionari giunti dopo l'indipendenza (1948, dal Giappone) vengono espulsi. Il dittatore intende dar vita a un "socialismo birmano ispirato al buddismo", su base atea e totalitaria; nel 1964-1965 il governo requisisce tutte le scuole e le opere sanitarie delle missioni cristiane e nel 1966 espelle i missionari stranieri più giovani, entrati dopo l'indipendenza il 4 gennaio 1948. Le diocesi passano subito quasi tutte a vescovi locali, eccetto Taunggyi. In tutto vengono espulsi, tra preti e suore, 232 cattolici e 18 protestanti.
Le persecuzioni del regime non fermano però la crescita della Chiesa birmana, per fedeli e presenza radicata sul territorio. Oggi è una realtà formata da 16 diocesi, oltre 750 sacerdoti, 2500 religiosi fra suore e frati, un numero di fedeli attorno ai 750mila circa, pari all'1,3% del totale della popolazione, con una particolare incidenza fra le minoranze etniche e nelle aree tribali.