Chiesa cattolica indiana contro l’eutanasia sia passiva che attiva
Oggi la Corte suprema ha ammesso la possibilità di interrompere le cure per i malati terminali. La legge sul testamento biologico dovrà essere elaborata dal Parlamento. Vescovi: “Togliere la vita ad una persona innocente non è mai un atto morale”. No all’accanimento terapeutico; sì alle cure palliative. “Il marchio di una buona società è la sua stessa capacità e disponibilità a prendersi cura di coloro che sono più vulnerabili”.
New Delhi (AsiaNews) – “La Chiesa cattolica rifiuta ogni proposta inerente l’eutanasia, sia attiva che passiva”. È con queste parole che i vescovi indiani tuonano contro la decisione della Corte suprema dell’India, che questa mattina ha ammesso l’eutanasia passiva per i malati terminali senza speranza di recupero. La nota è a firma di p. Stephen Fernandes, segretario nazionale dell’Ufficio per la giustizia, la pace e lo sviluppo della Conferenza episcopale indiana (Cbci). In essa le gerarchie ecclesiastiche sottolineano: “Nessuno ha il permesso di uccidere un essere umano innocente, sia esso feto o embrione, bambino o adulto, anziano o persona che soffre di un male incurabile, o persona in fin di vita”.
Oggi i cinque giudici hanno emesso una sentenza storica, che ha sollevato un mare di polemiche. In essa affermano che ogni essere umano ha il diritto fondamentale di “morire con dignità”. Il Tribunale supremo ha stabilito anche le condizioni per l’applicazione dell’eutanasia. Il malato deve redigere un “testamento biologico”, cioè uno specifico consenso mentre è in vita in cui dichiara di rifiutare ogni tipo di assistenza medica nel caso in cui dovesse trovarsi in una condizione di coma incurabile.
Tale testamento permetterà di interrompere ogni somministrazione medica in caso di malattia irreversibile. La Corte chiarisce inoltre che è eutanasia “ogni trattamento medico che abbia la deliberata intenzione di accelerare la morte di un malato terminale” e che spetterà ai legislatori discutere delle modalità per l’approvazione del testamento biologico.
Per la Chiesa cattolica, sottolinea il comunicato, tutto questo è inaccettabile. “Nessuno – ribadiscono i vescovi – ha il diritto di richiedere questo atto di omicidio per noi stessi o per coloro che sono affidati alle nostre cure. Finora in India la sacralità della vita era stata messa al primo posto. Il diritto alla vita, così come affermato dall’art. 21 della Costituzione indiana, non include nelle sue finalità il diritto di morire. Togliere la vita ad una persona innocente non è mai un atto morale”.
Secondo la Cbci, “legalizzare l’eutanasia metterà a rischio la vita delle persone vulnerabili, compresi coloro che credono che alcuni starebbero meglio da morti. Soprattutto al termine della vita, quando è chiaro che la morte è imminente e inevitabile, non importa quali procedure mediche vengano tentate, si può rifiutare un trattamento che garantirebbe solo un precario e gravoso prolungamento della vita, purché la normale cura dovuta alla persona malata in casi simili non venga interrotta”.
La nota di p. Fernandes ricorda gli insegnamenti contenuti nel Catechismo della Chiesa cattolica: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’«accanimento terapeutico»” [CCC n.2278]. Infine i vescovi ribadiscono: “Un miglior accesso alle cure palliative di elevata qualità, un miglior supporto agli operatori sanitari e una migliore assistenza al termine della vita saranno il marchio di garanzia di una vera società veramente compassionevole. Il marchio di una buona società è la sua stessa capacità e disponibilità a prendersi cura di coloro che sono più vulnerabili”.
22/03/2018 12:51