08/03/2025, 13.00
SIRIA
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Centinaia di morti tra gli alawiti. P. Karakach: 'Troppi interessi, clima di nuovo pesante'

di p. Bahjat Karakach *

L'Osservatorio siriano per i diritti umani parla di oltre 500 vittime negli ultimi due giorni. La testimonianza del parroco francescano di Aleppo: "Nonostante le innumerevoli voci che chiedono un governo che rappresenti tutte le componenti della società siriana, non si vedono azioni concrete. Le armi minacciano di distruggere quel che resta della nostra speranza". 

Sono drammatiche le notizie che continuano a giungere dalla regione costiera della Siria, ripiombata nelle ultime ore nella violenza. L’Osservatorio siriano per i diritti umani - l’ong che ha sede nel Regno Unito e che dal 2011 ha costantemente denunciato le stragi compiute dall’esercito di Assad -  riferisce che “311 civili alawiti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza e da gruppi alleati” dall'inizio degli scontri giovedì, portando il bilancio complessivo dei morti a 524 persone, tra cui 213 membri del personale di sicurezza e miliziani. Su questa gravissima situazione nella Siria senza pace, pubblichiamo la testimonianza di p. Bahjat Karakach, francescano, parroco della chiesa di San Francesco d’Assisi ad Aleppo.

Carissimi amici, 
mi faccio vivo a distanza di quasi un mese per farvi partecipi di quello che stiamo vivendo in questo momento in Siria. Infatti, dal 6 marzo la situazione è peggiorata gravemente, e oggi nel Paese si respira un clima molto pesante. 

Negli ultimi giorni, la tensione è aumentata in diverse zone, sia al sud nella città di Suwaida, sia a Jaramana, una periferia di Damasco, entrambe a maggioranza drusa; ma anche nelle città costiere a maggioranza alawita, soprattutto a Jable. Diversi atti di violenza sono stati registrati, fino a quando due giorni fa è scoppiata una “resistenza” armata contro le forze ufficiali, rifiutate da una larga fetta della popolazione, per presunte azioni di violenza e vendetta nei confronti dei civili delle minoranze. Per contro, si parla di una vera e propria azione militare organizzata dai sostenitori del vecchio regime, sostenuta da forze regionali che avrebbero l’interesse di creare e mantenere uno stato di caos in Siria: da una parte Israele, che avanza nei territori siriani e se ne impadronisce, cercando di presentarsi come difensore dei drusi contro le forze governative, considerate “milizie terroristiche”; dall’altra parte l’Iran, che pare non voglia accettare la perdita del potere che aveva in Siria al tempo di Assad; senza dimenticare il ruolo della Russia, che resta ambiguo. 

Un’altra volta i siriani si trovano sull’orlo di una guerra civile, perciò siamo davvero preoccupati. Alcune voci accusano la comunità internazionale di non assumersi pienamente le proprie responsabilità nei confronti del Medio Oriente in generale e della Siria in particolare, che resta una terra in cui si scontrano le grandi potenze, ognuna delle quali cerca di garantirsi una fetta di questa torta. Altre voci accusano il nuovo governo di Al-Sharaa che, al di là delle belle promesse, non ha compiuto finora azioni serie per garantire processi pubblici ed equi nei confronti dei criminali di guerra, un fatto che ha lasciato mano libera a chi vuole farsi giustizia da sé e ha permesso a coloro che si vogliono organizzare per “liberare di nuovo” la Siria di agire indisturbati! Un’altra colpa del nuovo presidente sarebbe quella di mantenere lo status quo del suo governo, formato subito dopo la caduta del vecchio regime, e che resta in carica oltre il tempo fissato di tre mesi, un governo che raccoglie persone poco esperte in politica, tutte appartenenti all’ex Hay'at Tahrir al-Sham (HTS), portatrici di un pensiero politico di stampo fortemente religioso. 

Nonostante le innumerevoli voci, sia all’estero sia all’interno, che hanno affermato che per mantenere una stabilità in Siria è indispensabile un governo che rappresenti tutte le componenti della società siriana, non si vedono finora azioni concrete in questa direzione. 

Si è voluto accontentare gli osservatori con una mezza giornata di “dialogo nazionale”, in cui si sarebbero dovute decidere le sorti del Paese, un convegno che ha redatto un documento finale che resta per ora inchiostro sulla carta. Tutti aspettavano il 1° marzo, data in cui si sarebbe dovuto formare un nuovo governo di transizione, obiettivo mancato che ha lasciato molti nella delusione, mentre i siriani aspettano una parola chiara dalle loro autorità, una parola che spieghi che cosa hanno in mente. Purtroppo, i governanti continuano a trattare il popolo come un “gregge” e non come un vero partner. Questo silenzio, sopportato a malapena, è rotto solo dalle armi che minacciano di distruggere quel che resta della nostra speranza. 

Qui la gente è stanca e noi non sapremmo più che cosa dire o come infondere coraggio per affrontare quel che verrà…  Allora vi chiedo preghiera, ne abbiamo tanto bisogno, eleviamole al buon Dio che sa fare anche i miracoli.

* parroco della chiesa di San Francesco d’Assisi ad Aleppo

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