24/08/2013, 00.00
MYANMAR
Invia ad un amico

Cattolici in Myanmar: Libertà religiosa e pace fra etnie, per lo sviluppo economico e sociale

di Charles Bo - Benedict Rogers
È l'appello lanciato dall'arcivescovo di Yangon e da un attivista ed esperto di vicende birmane. Le persecuzioni contro i musulmani e il pericolo di una risposta islamista. Lo sviluppo economico e le libertà personali; la pace sociale e le tensioni etniche. Un'analisi del Paese a due anni dal primo, storico, incontro fra Thein Sein e Aung San Suu Kyi.

Yangon (AsiaNews) - In questo testo scritto a quattro mani per Myanmar Times, mons, Charles Bo arcivescovo di Yangon e Benedict Rogers, attivista pro diriiti umani, membro di Christian Solidarity Worldwide (Csw), profondo conoscitore delle vicende birmane (è autore del volume "Burma: A Nation at the Crossroads") analizzano la storia recente del Myanmar. Dalle violenze interreligiose al pericolo islamista, essi ripercorrono i lati oscuri dell'ultimo biennio e che ha visto il Paese aprirsi al mondo e alla comunità internazionale.

 Per una vera pace, raccontano le due personalità cattoliche, sono necessari il rispetto della diversità etnica e religiosa. A questo si deve aggiungere un vero colloquio franco e onesto con le minoranze etniche, che compongono le diverse anime di una nazione "unita nella diversità". Libertà di pensiero, coscienza e religione sono essenziali per eliminare ogni forma di violenza e persecuzione, che nell'ultimo anno ha colpito soprattutto la comunità musulmana. Una minoranza che deve però chiarire i suoi obiettivi, la sua agenda, allontanando qualsiasi sospetto di legame con il movimento islamista che sta piagando nazioni come il Pakistan, l'Egitto e la Siria. Ecco, di seguito, quanto raccontano mons. Charles Bo e Benedict Rogers, che proprio in Myanmar, nella cattedrale di Yangon, ha fatto il suo ingresso nella Chiesa cattolica (v.foto).

 Due anni fa il Presidente U Thein Sein e "la Signora" Aung San Suu Kyi si sono incontrati per la prima volta. Quel faccia a faccia ha segnato l'inizio di una nuova era per il Myanmar, che ha condotto alla liberazione di centinaia di prigionieri politici; maggiori libertà per la società civile, per gli attivisti politici, per i media e la stampa; ha dato origine anche a un primo cessate il fuoco con quasi tutte le organizzazioni armate combattenti, facenti capo alle minoranze etniche della nazione; e all'apertura del Myanmar al mondo esterno.

 Vi sono molti fattori per i quali bisogna essere riconoscenti. Dopo decenni, per la prima volta, si parla di pace e democrazia. Sebbene il cammino sia ancora molto lungo, almeno il sogno di un cambiamento - un tempo solo lontano desiderio - appare davvero una possibilità concreta.

 Tuttavia, una vera pace e una reale libertà dipendono da una questione fondamentale che deve essere ancora affrontata: rispetto per le differenze etniche e religiose presenti in Myanmar. Fino a quando non sarà sottoscritto un vero processo di pace con le varie nazionalità etniche, dando luogo a un dialogo politico su scala nazionale sulle modifiche costituzionali necessarie al Paese, i cessate il fuoco finora raggiunti saranno sempre fragili e non metteranno la parola fine alla guerra.

 L'urgenza maggiore è la fine del conflitto nello Stato Kachin e l'apertura di un canale di dialogo fattivo con il movimento indipendentista Kachin Independence Organisation (Kio). Detto questo, sarà possibile ottenere una vera pace solo quando i cannoni smetteranno di risuonare e saranno banditi da tutto il territorio nazionale; quando le persone potranno rientrare nelle loro case senza paura e la popolazione del Myanmar darà vita a un dialogo reciproco e con il governo centrale, in un'atmosfera di rispetto reciproco.

 Una sfida diversa da fronteggiare, ma altrettanto urgente e correlata, è quella dell'armonia interconfessionale. Lo scorso anno ha registrato una ondata di violenze contro i musulmani in Myanmar a dir poco scioccante, che ha preso il via nello Stato di Rakhine nel giugno 2012 per poi diffondersi a Meiktila, Oakkan, Lashio e altre città e comuni minori.

 Le violenze e la propaganda anti-musulmana hanno evidenziato una questione profondamente radicata nella società del Myanmar: come sia possibile vivere assieme, a dispetto delle differenze reciproche. Nessuna società si può definire davvero democratica, libera e pacifica se non rispetta - e non celebra - la diversità politica, razziale e religiosa, oltre che difendere i diritti umani di base di ogni singola persona, a prescindere dalla razza, dalla religione o dal genere.

 A più di un anno dalla prima ondata di violenze nello Stato di Rakhine, almeno 130mila persone risultano ancora sfollate. Vivono in condizioni che le Nazioni Unite descrivono come "terribili". Sono a rischio grave di malattia e malnutrizione. Vivono nella paura. Adesso, durante la stagione dei monsoni, la crisi umanitaria si aggrava ancor più. A prescindere da quale sia il loro status o condizione nel Paese, essi sono esseri umani che andrebbero trattati in modo umano e dignitoso. Nel Buddismo, i principi della metta (amorevole tenerezza) e del karuna (compassione) si applicano a tutti gli esseri viventi. Nel Cristianesimo vi sono principi analoghi: "Ama il prossimo tuo come te stesso" e "Ama il tuo nemico". La Dichiarazione universale dei diritti umani è, proprio per definizione, universale.

 Le Organizzazioni non governative, i gruppi di fedeli, i funzionari governativi e le agenzie Onu che hanno cercato di portare aiuto agli emarginati meritano tutto il nostro riconoscimento e l'apprezzamento. Ma vi è al contempo un urgente bisogno per ulteriori, più efficaci provvedimenti. Lanciamo un appello al governo, perché consenta un accesso incondizionati ai campi di accoglienza dei profughi nello Stato di Rakhine e assicuri la sicurezza degli operatori umanitari che si sentono minacciati. Ci rivolgiamo anche ai donatori, in Myanmar e nella comunità internazionale, perché aiutino a fornire tutto il necessario. Molte vite sono in pericolo.

 La libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di credo - come previsto dall'art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani - è forse la più preziosa e basilare di tutte le libertà. Gli altri diritti basilari, come la libertà di espressione, assemblea, associazione e movimento attingono in qualche modo tutti alla libertà di coscienza. Per questo, quando sentiamo di persone che attaccano - dal punto di vista fisico o verbale - altri solo perché di fede religiosa diversa, o che sfruttano la religione per diffondere l'odio, ci sentiamo profondamente addolorati. Questi discorsi intrisi di odio sono completamente contrari agli insegnamenti delle principali religioni al mondo, in tutto e per tutto contrari alla più importante fede professata in Myanmar, il buddismo, e totalmente contraria ai principi dei diritti umani e del rispetto per l'umanità. Per questo ci rivolgiamo alle autorità competenti, perché prendano i provvedimenti del caso per impedire la diffusione di altro odio e intolleranza. Siamo per la difesa del diritto di parola, ma non quando esso comporta l'incitamento alla violenza. E invitiamo le autorità a perseguire chiunque fomenti la violenza, così come è compito dei leader religiosi mantenere la disciplina nel clero e fra i fedeli laici.

 Lanciamo un invito a tutti quanti esercitano un ruolo di influenza sugli altri - nel campo della politica, della religione, nei media, nel settore dell'istruzione e in seno alla società civile - perché utilizzino la loro voce per prendere una posizione netta contro l'odio e l'intolleranza a sfondo confessionale. Nelle scuole, in particolare, è necessario assicurarsi che tutte le religioni e le etnie diverse che compongono il Myanmar vengano insegnate e riconosciute come esse meritano. Il curriculum scolastico in tema di educazione religiosa dovrebbe garantire una comprensione seria ed equilibrata di tutte le fedi del Myanmar. E nessuno dovrebbe essere costretto a convertirsi con la forza ad un'altra religione, in quanto tale pratica costituisce una gravissima violazione ai diritti umani. Religione e fede sono elementi che riguardano la sfera personale e la libera coscienza.

 Questi principi che abbiamo appena enumerato riguardano tutti, a prescindere dalla fede buddista, cristiana, musulmana, indù, animista o di altro credo. La crisi dell'ultimo anno ha avuto un impatto particolarmente forte sulla comunità musulmana e piangiamo ancora la perdita di vite umane, le devastazioni e la paura inculcata nelle menti dei nostri fratelli e sorelle musulmani. Ma i principi e le sfide sono importanti per tutti noi. Molti buddisti sono preoccupati per quella che considerano una crescente "islamizzazione", che pure i nostri fratelli e sorelle musulmani dovrebbero affrontare in modo deciso.

 In tutto il mondo, vi è in atto un'agenda globale volta all'islamizzazione che è fonte di grave preoccupazione. Ma non per questo si tratta di un'agenda che unisce tutti i musulmani, molti dei quali (al contrario) sono vittime di questa agenda; la gran parte del mondo musulmano è stato trattato in modo ingiusto e giudicato secondo stereotipi. Detto questo, un'agenda esiste e si sta sviluppando in modo diverso in nazioni come Pakistan, Indonesia, Nigeria, Siria e, in particolar modo in questo momento, in Egitto. Negli ultimi giorni oltre 50 chiese sono state date alle fiamme in Egitto per mano di estremisti islamici.

 È comprensibile che qualcuno in Myanmar osservi le vicende internazionali e si senta spaventato. Per questo e a maggior ragione è interesse dei nostri fratelli e sorelle musulmani, e di tutto il popolo del Myanmar, dar corso a uno scambio di vedute franco, pacifico e rispettoso delle diversità. I nostri fratelli e sorelle musulmani dovrebbero dirci in tutta onestà cosa provano nei loro cuori e cosa pensano le loro menti. Quale sia la loro interpretazione della religione e quali i propositi? Solo mediante l'interazione e l'educazione si possono superare le incomprensioni. Oggi il dialogo interreligioso in Myanmar è più importante che mai, ad ogni livello: tra leader religiosi, per dare un segnale, ma è forse ancor più necessario alla base. Quali sono i sogni, gli ideali, i valori che ci tengono uniti, noi gente di fede diversa? Vi sono insegnamenti religiosi, abitudini, pratiche che sono fonte di incomprensione, ma che - se affrontate in modo corretto - possono essere rispettate e riconosciute come fonte di miglioramento per l'intera comunità?

 Violenze, discriminazioni, odio non sono la risposta. Trattare i musulmani nello stesso modo in cui sono stati trattati in Myanmar nell'ultimo anno, non è molto diverso da come gli estremisti islamici trattano le minoranze in nazioni quali Pakistan o Egitto. Dunque, questo comportamento è molto probabile che attirerà l'attenzione di estremisti islamici al di fuori del Myanmar e che, anzi, possa già averlo fatto. L'estremismo porta altro estremismo. Come ha sottolineato Martin Luther King "L'ingiustizia in qualunque luogo essa sia è una minaccia alla giustizia ovunque". Il modo migliore per prevenire altra violenza è di combattere l'intolleranza. Il modo migliore per ciascuno di noi di condividere la nostra fede è attraverso la testimonianza che diamo con la nostra vita, anche se pure il dialogo è essenziale. Mediante la parola, possiamo conoscerci a vicenda e scoprire che quanto abbiamo in comune è molto più di quanto ci divida, che possiamo costruire un Myanmar basato su sogni condivisi, rispetto reciproco e unità nella diversità. In questo modo, possiamo metterci alle spalle decenni di lotte conflitti. 

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Myanmar, buddisti ancora all'assalto: devastati negozi e case della comunità islamica
26/08/2013
Il ricordo di p. Noe, l’ultimo patriarca della missione del Pime in Myanmar
30/03/2017 10:55
Card Bo: Covid-19 ‘tempesta perfetta’, da vivere con speranza, immaginazione, intelligenza
12/05/2020 08:29
È morto Patrick Sin Wa Naw Tsumhpawng, leader Kachin e padre di un missionario Pime
14/10/2013
Papa Francesco ha incontrato Aung San Suu Kyi. Pieni rapporti diplomatici
04/05/2017 14:53


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”