Caritas Libano: pace e lotta al commercio di armi per rispondere all’emergenza rifugiati
Oggi si celebra la Giornata mondiale Onu del rifugiato. Nel 2016 toccata quota record di 65,6 milioni, 300mila in più rispetto all’anno precedente. Ogni tre secondi una persona nel mondo costretta ad abbandonare la propria abitazione. P. Karam: Gli accordi sulla vendita fra Usa e sauditi preoccupano. Dalla Chiesa sostegno a progetti di piccola imprenditoria locale.
Beirut (AsiaNews) - Per affrontare l’emergenza rifugiati è “prioritario” mettere fine alla guerra in Siria e agli altri conflitti che insanguinano il pianeta; un obiettivo che si può raggiungere “solo attraverso una vera volontà di pace” che sia più forte “delle ideologie, dei calcoli politici e degli interessi economici internazionali”. È quanto afferma ad AsiaNews Paul Karam, direttore di Caritas Libano, da cinque anni in prima fila nell’accoglienza del flusso continuo di famiglie siriane che fuggono dalla guerra, in concomitanza con la Giornata Mondiale Onu del rifugiato. “I recenti accordi fra Arabia e Stati Uniti sulla vendita di armi - aggiunge il sacerdote - sono fonte di preoccupazione e non danno la sensazione che la guerra sia destinata a finire”.
Con una risoluzione adottata nel 2000 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata mondiale del rifugiato. Secondo quanto stabilisce la Convenzione di Ginevra del 1951, il rifugiato è un soggetto vittima di persecuzioni personali per motivi politici, religiosi, di razza, di nazionalità o di appartenenza a un gruppo. I Paesi che aderiscono alla Convezione sono tenuti a garantire asilo alle persone in queste condizioni.
In tema di rifugiati, il Libano resta uno dei Paesi in prima linea nell’emergenza: “Si dice che un piccolo gruppo sia rientrato in Siria - racconta p. Paul - forse 50 famiglie in tutto. In realtà la portata della crisi è sempre la stessa, perché finora non si è trovata una soluzione reale al conflitto e i problemi sono destinati ad aumentare”. Come ha più volte sottolineato papa Francesco, prosegue il direttore di Caritas Libano, serve “garantire giustizia, il rispetto dei popoli e delle loro tradizioni e culture eliminando vincoli e imposizioni dall’esterno”.
Secondo i dati dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, nel 2016 il numero di sfollati e rifugiati nel mondo ha toccato la quota record di 65,6 milioni, 300mila in più rispetto all’anno precedente. Il rapporto annuale Global Trends afferma che ogni tre secondi una persona è costretta ad abbandonare la propria abitazione a causa di guerre, violenze o violazioni ai diritti umani. La Siria rimane la nazione con il maggior numero di rifugiati, circa 5,5 milioni; in totale vi sono circa 12 milioni di persone sfollate interne o fuggite all’estero, pari ai due terzi della popolazione originaria. Al secondo posto gli afghani, con 4,7 milioni di sfollati, seguiti dagli irakeni con 4,2 milioni.
Vi è poi la questione inerente l’accoglienza, che ha sollevato feroci polemiche politiche in molte nazioni europee sebbene la maggior parte dei rifugiati (circa l’84%) sia stanziata in nazioni a basso o medio reddito. Una su tre (quasi 5 milioni) è ospitata nei Paesi meno sviluppati. In proporzione alla popolazione, il Paese dei cedri è quello che ne ospita di più, seguito dalla Giordania.
“Il Libano - sottolinea p. Paul - è ancora oggi in prima fila nell’emergenza e questo comporta gravi ripercussioni interne. Le ultime indagini parlano di un milione e 100mila cittadini [su un totale di circa 4,4 milioni] che vive al di sotto della soglia di povertà, il 28% della popolazione risulta disoccupata e il fenomeno investe soprattutto i giovani. Da qui il fenomeno crescente della migrazione degli stessi cittadini libanesi, che vanno all’estero in cerca di migliori opportunità. E questo finisce per impoverire la nostra economia, la nostra società. È tutto collegato”.
Fermare il traffico di armi, investire risorse in un processo di pace serio, affrontare il problema della fame, incoraggiare le parti avverse a un dialogo sincero, con uno sguardo al futuro del Paese e della regione: sono questi gli elementi, secondo il sacerdote libanese, sui quali costruire il futuro. “Ma serve una volontà comune - aggiunge - che vada oltre l’ideologia, in particolare fra le potenze regionali e mondiali. Difatti, non sono certo i Paesi poveri i maggiori produttori ed esportatori di armamenti, mentre sono i più deboli a pagare col sangue le conseguenze di queste politiche”.
“Il Libano si impoverisce ogni giorno di più” ed è sempre più difficile “rispondere alle sfide in ambito umanitario e politico”. In questo contesto da “prima linea”, la Chiesa locale ha rafforzato il proprio impegno quotidiano per rispondere alle molte emergenze. “Cerchiamo di coinvolgere donatori e sostenitori - afferma p. Paul - nel sostegno di piccoli progetti di imprenditoria locali, che diano opportunità di impiego e sviluppo nei villaggi, nei piccoli paesi, perché è importante restare nella terra natale. Sono iniziative nel campo del micro-sviluppo, che mirano a garantire vitalità ad aree depresse alimentando una economia umile, dai piccoli numeri, ma al tempo stesso essenziale”. “Noi continuiamo a pregare e a lavorare per la pace - conclude il direttore Caritas Libano - sperando che la comunità internazionale ascolti il nostro grido per i diritti e la giustizia”.(DS)
20/06/2005