Caritas Filippine sull'arresto di Duterte: 'Rispetti la giustizia'
Eseguito il mandato di cattura della Corte penale internazionale nei confonti dell’ex presidente, accusato di crimini contro l’umanità per la sua controversa guerra alla droga, in cui si presume che fino a 30mila persone siano morte per uccisioni extragiudiziali. La Chiesa locale ha chiesto al governo di collaborare con la giustizia internazionale per porre fine alla diffusa impunità.
Manila (AsiaNews) – La polizia delle Filippine ha arrestato l’ex presidente Rodrigo Duterte, dopo l’emissione di un mandato di cattura da parte della Corte penale internazionale (CPI), La Caritas delle Filippine ha accolto con favore gli sviluppi delle indagini e ha esortato Duterte a mantenere la promessa di sottoporsi al processo legale.
Duterte, 79 anni, è stato arrestato al suo arrivo a Manila da Hong Kong (dove si era recato per proporre la propria candidatura a sindaco di Davao tra i filippini emigrati) e, secondo un comunicato ufficiale del Malacañang, il palazzo presidenziale, si trova ora in custodia e in buone condizioni di salute. Il mandato della CPI si inserisce in un’indagine sui presunti crimini contro l’umanità commessi durante la campagna antidroga avviata nel 2016, un’operazione che, secondo le stime governative, ha provocato la morte di almeno 6.252 persone. Tuttavia, le organizzazioni per i diritti umani e le famiglie delle vittime ritengono che il numero reale sia molto più alto, con un bilancio che potrebbe raggiungere le 30milavittime, molte delle quali uccise in esecuzioni extragiudiziali.
La Caritas delle Filippine ha chiesto che Duterte onori l’impegno da lui stesso espresso di accettare l’arresto qualora la giustizia internazionale lo avesse richiesto. “Alla luce della recente dichiarazione di Duterte che ha espresso la volontà di accettare l'arresto nel caso in cui la Corte penale internazionale emettesse un mandato, gli chiediamo di onorare questo impegno e di sottomettersi pienamente allo Stato di diritto”, si legge in una dichiarazione dell’organizzazione, braccio sociale della Conferenza episcopale delle Filippine (CBCP)
L’appello è stato ribadito anche dal vescovo Jose Colin Bagaforo, presidente di Caritas Filippine, che ha sottolineato come la giustizia non sia una questione di “fedeltà politica o personale, ma di responsabilità, trasparenza e protezione della dignità umana”. Anche monsignor Gerardo Alminaza, vicepresidente dell’organizzazione, ha messo in evidenza le implicazioni più ampie dell’indagine, affermando che “queste uccisioni non erano casuali, ma facevano parte di una politica che violava il diritto fondamentale alla vita”.
Secondo testimonianze e rapporti raccolti nel corso degli anni, diversi agenti di polizia avrebbero ricevuto ricompense economiche per le esecuzioni extragiudiziali, dimostrando che la violenza non è stata un fenomeno isolato, ma piuttosto un sistema radicato e incentivato. “Le famiglie delle vittime meritano verità, riparazione e giustizia. Come nazione, dobbiamo fare in modo che tali crimini non si ripetano mai più”, ha dichiarato Alminaza.
L’arresto dell’ex presidente mette alla prova anche l’attuale amministrazione guidata da Ferdinand Marcos Jr., che ha finora mostrato posizioni ambigue nei confronti della CPI e dell’indagine su Duterte. Caritas Filippine ha lanciato un appello al governo affinché collabori con la Corte penale internazionale e garantisca che il Paese non resti un luogo dove l’impunità possa prosperare impunemente. “Esortiamo l'amministrazione Marcos a collaborare con la Corte penale internazionale, a consentire un'indagine imparziale e a garantire che le Filippine non rimangano un Paese in cui prospera l'impunità. Se il governo non ha nulla da nascondere, non ha nulla da temere”, afferma la dichiarazione della Caritas.
Tuttavia, la questione della collaborazione con la CPI è delicata. Il governo Duterte, nel 2019, aveva formalmente ritirato le Filippine dallo Statuto di Roma, il trattato che ha istituito la Corte penale internazionale, proprio per evitare le indagini sulle esecuzioni extragiudiziali. Nonostante ciò, la CPI ha ribadito che conserva la giurisdizione sui crimini commessi quando le Filippine ne facevano ancora parte.
La presa di posizione della Chiesa filippina evidenzia la necessità di una giustizia non selettiva. “Lo stato di diritto deve prevalere e deve essere fatta giustizia. Facciamo in modo che questo momento sia un punto di svolta per la nostra nazione, un passo verso la guarigione, la responsabilità e un vero cambiamento”, conclude la dichiarazione della Caritas.
Per anni, l’ex presidente Duterte aveva rivendicato con orgoglio la sua “guerra alla droga” e minimizzato le critiche internazionali sulle violazioni dei diritti umani. Ora, con il mandato della CPI, il Paese si trova a un bivio: o proseguire lungo la strada dell’impunità e della polarizzazione politica, oppure accogliere la sfida di un sistema giudiziario che possa realmente garantire giustizia per le vittime.
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