Caritas Aleppo: occorrono cibo e assistenza per chi fugge e per chi rimane ad Aleppo est
Il governo siriano sospende le operazioni di evacuazione e accusa i ribelli di sparare sui civili in fuga. Direttore Caritas: estremo bisogno di aiuti, “l’allerta è massima”. Necessario fornire assistenza psicologica ai bambini e curare i disabili. L’obiettivo è “entrare nel settore orientale e aiutare direttamente sul posto”.
Aleppo (AsiaNews) - Le famiglie sfollate da Aleppo est “hanno estremo bisogno di aiuto”, molti di questi nuclei sono da considerare “rifugiati” e necessitano “di cibo, medicine, generi di prima necessità”. Altri ancora “stanno cercando di rientrare nelle loro case”, ma sono privi dei mezzi per sopravvivere e anche a loro “vanno forniti mezzi e assistenza immediata”. È quanto racconta ad AsiaNews George Antoine Kahal, direttore di Caritas Aleppo, in prima fila nelle operazioni di aiuto alla popolazione in fuga dalle violenze. “Il governo ha assunto il controllo della città - conferma l’attivista cristiano - e molti dei ribelli sono fuggiti da Aleppo est, rifugiandosi nelle campagne circostanti e oltreconfine, in Turchia. I membri di al Nusra, invece, hanno ripiegato verso Idlib”. Uno dei progetti della Caritas è di entrare nel settore orientale e aiutare in modo diretto le famiglie e gli anziani rimasti.
Migliaia di combattenti e di civili, molti dei quali traumatizzati, hanno lasciato nelle ultime ore Aleppo sfruttando la tenuta notturna della fragile tregua. Il piano di evacuazione iniziato ieri avrebbe dovuto proseguire senza sosta, fino al completamento. Tuttavia, il governo ha annunciato la sospensione delle operazioni, accusando i ribelli di aver violato i termini dell’accordo. I miliziani ostacolano l’uscita dei civili e hanno aperto il fuoco contro i mezzi adibiti al trasporto delle persone.
Fonti locali riferiscono che bus e ambulanze hanno viaggiato avanti e indietro per tutta la notte, prelevando quanti erano rimasti intrappolati nell’ultimo quartiere della città ancora nelle mani dei ribelli. Alcuni abitanti hanno usato mezzi propri per abbandonare l’area. La maggioranza degli sfollati - civili e combattenti - viene indirizzata verso territori ribelli nella vicina provincia di Idlib, in mano a un’alleanza che comprende anche il gruppo jihadista Jabhat Fateh al-Sham.
L’inviato speciale Onu per la Siria Staffan de Mistura avverte che gli evacuati rischiano di restare coinvolti in una nuova spirale di violenze. “Se non si raggiungerà un accordo politico e un cessate il fuoco - spiega l’alto diplomatico delle Nazioni Unite - la stessa Idlib rischia di trasformarsi in una nuova Aleppo”.
Prima della guerra Aleppo era la seconda città per importanza della Siria, oltre che il suo principale motore economico e commerciale. Dal 2012 era divisa in due settori: occidentale, dove vivono 1,2 milioni di persone, sotto il controllo del governo; la zona orientale, con circa 250mila persone, nelle mani delle milizie ribelli e di gruppi jihadisti. In meno di un mese, l’offensiva dell’esercito governativo, sostenuta dai raid aerei russi e combattenti sciiti iraniani e libanesi di Hezbollah, ha annichilito la resistenza dei ribelli e ha restituito l’intera città al controllo dell’esercito di Damasco.
Ieri il presidente siriano Bashar al Assad ha accolto con gioia la notizia della “liberazione” completa della città, dopo anni di combattimenti. I media di Stato aggiungono che i ribelli, prima di lasciare l’area, hanno fatto saltare in aria i depositi di munizioni e distrutto tutti i documenti.
Se le operazioni militari si possono considerare ormai concluse, la situazione sotto il profilo umanitario è di “massima emergenza”. Il direttore di Caritas Aleppo spiega: “Stiamo elaborando dei progetti per aiutare le famiglie più vulnerabili e colpite. Stiamo andando incontro a un inverno freddo e l’allerta è massima”. “Vogliamo fare qualcosa per queste famiglie - aggiunge - per questo siamo in contatto con altre ong ed organismi, fra cui l’Alto commissariato Onu per i rifugiati”. L’obiettivo, spiega il direttore Caritas, è quello di “assumere in prima persona la responsabilità di un settore di Aleppo est” fornendo alla popolazione “cibo, medicine, generi di prima necessità. Fare quello che altri non fanno, come garantire sostegno psicologico alle vittime della guerra, soprattuto i bambini. E ancora, farsi carico dei bambini portatori di handicap o con disabilità, di cui nessuno si cura”.
Le famiglie in fuga dal settore orientale sono musulmane, ma “sono contente del nostro aiuto e apprezzano il nostro lavoro”. Negli ultimi quattro anni “la Caritas ha aiutato diverse famiglie rifugiate, in fuga da Aleppo est. Ora - aggiunge il direttore - il nostro obiettivo è entrare nel settore orientale e aiutare direttamente sul posto, nelle loro case e nei loro quartieri, i nuclei rimasti o che hanno già fatto ritorno nelle loro abitazioni”.
Interrogato sulle violenze riportate da media occidentale e ong vicine all’opposizione e ai ribelli, Kahal afferma di non credere “alle voci di massacri di civili”, anche se vi sono stati episodi di violenze che hanno coinvolto la popolazione. “In generale, le famiglie sono più felici di passare sotto l’ombrello dei governativi. In questi ultimi sei mesi di combattimenti e assedio non avevano cibo, medicine, che spesso venivano requisite proprio dalle milizie ribelli e dai gruppi jihadisti”. Dai racconti che ho ascoltato in questi anni dalle famiglie in fuga che abbiamo aiutato, conclude il direttore Caritas, “il gruppo peggiore è quello di al Nusra. Era odiato da tutti, anche se l'ostilità era un atteggiamento diffuso verso tutti i gruppi ribelli al comando”.
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