Card. Zen: Non è vero che “Pechino vuole vescovi nominati dal Papa”
di Card. Joseph Zen Zekiun, sdb
C’è ancora molta strada da compiere per i rapporti fra Pechino e la Santa Sede sulle nomine dei vescovi, frutti non di un “accordo”, ma di “un tiro alla fune”. Il test della comunione col papa nel boicottaggio dell’Assemblea dei Rappresentanti Cattolici Cinesi. Il battagliero cardinale di Hong Kong reagisce a un articolo di Gianni Valente di “30 Giorni”.
Hong Kong (AsiaNews) - Leggo su 30 Giorni (2010, 5) un altro articolo sulla Chiesa in Cina del mio amico (di una volta?) Gianni Valente. Apprezzo il suo interesse per questa nostra cara Chiesa ed il suo zelo nel portarla all’attenzione dei lettori. Mi dispiace però di dovere un’altra volta distanziarmi dal suo modo di capire quella complicatissima situazione.
Scelta dei vescovi
Il titolo dell’articolo “Pechino vuole vescovi nominati dal Papa” già tradisce un troppo facile ottimismo. Sì, le recenti ordinazioni episcopali in Cina sono approvate dalla Santa Sede e riconosciute dal Governo cinese. Inoltre, le affermazioni di due accademici cinesi suggeriscono un cambio di posizione del Governo cinese (sono però dichiarazioni fatte in Cina, che devono essere lette cum grano salis, fatte da accademici che in Cina non sono parte della dirigenza). Ma da qui a vederci, come fa G.V., una “rivoluzione copernicana” è per lo meno affrettato.
Domandiamo, come fa G.V., “che cosa suggeriscono i fatti?”
Anzitutto devo fare notare che G.V. nella sua analisi si contraddice su un punto importante: da una parte dice (p. 22 colonna 2) che è stata addirittura una “acquisizione teorica”, cioè il Governo cinese avrebbe accettato il punto della dottrina cattolica sulla ordinazione dei vescovi; ma poi (a p. 23 colonna 3) dice che il Governo non si cura affatto di dottrina cattolica ma accetta che i vescovi siano approvati dal Papa perché quelli non approvati sarebbero rifiutati dal popolo fedele. Dunque si tratta di una accettazione con motivazioni di natura puramente pragmatica. A noi sembra molto più vicina al vero questa seconda interpretazione. Il Governo cede davanti alla fermezza della fede del popolo, incoraggiato dalla Lettera del Papa e da altri pronunciamenti della Santa Sede (come il Comunicato dopo l’ultima Sessione Plenaria della Commissione Pontificia per la Chiesa in Cina).
Dunque, è proprio vero che “Pechino vuole vescovi nominati dal Papa”?
I fatti riferiti all’inizio dell’articolo ed i pronunciamenti degli accademici non sono sufficienti a provare ciò, ma G.V. sembra possedere altri fatti (a noi non accessibili) e dice che c’è uno schema semplice nella scelta dei nuovi vescovi:
a) Anzitutto un meccanismo di selezione locale (da parte di rappresentanti delle parrocchie)
b) I nomi vengono poi presentati al Governo che li approva;
c) La scelta poi viene fatta con il consenso delle due parti. Citando il professore Liu Peng, G.V. dice che “la lista viene sottoposta alla Santa Sede e poi le due parti scelgono congiuntamente”. Ma un po’ prima G.V. aveva detto “di aver saputo da ambienti politico-diplomatici cinesi che è stata fatta arrivare al Vaticano una rosa con più di quindici nomi di possibili candidati episcopali che, guarda caso, corrisponderebbero in gran parte a quelli già individuati dalla Santa Sede come possibili futuri vescovi”. [Quel “guarda caso” è una esclamazione di gioiosa scoperta? O sta G.V. ironizzando, senza volerlo, su se stesso?]
d) G.V. aggiunge che “alla Santa Sede spetta l’ultima parola, vincolante”;
e) Verso la fine dell’articolo G.V. afferma addirittura che “il Governo cinese approva l’ordinazione di vescovi scelti in base al gradimento della Sede Apostolica”.
Se questo schema corrispondesse a realtà ci sarebbe da congratularsi, perché in esso è assicurata l’autorità del Papa di nominare i vescovi, dacché avrebbe la prima e l’ultima parola o almeno la scelta sarebbe fatta con cordiale comprensione vicendevole tra Governo cinese e Santa Sede.
Ma è proprio così? Dai pezzi di informazione che ci capita di raccogliere qui a Hong Kong, la realtà ci appare molto meno rosea.
Anzitutto non c’è vera distinzione tra il punto a) e il punto b), perché le cosiddette “elezioni” sono quasi sempre manipolate dal Governo attraverso la Associazione Patriottica.
Tutto il processo poi come avviene in realtà, ci sembra più un tiro alla fune che non un amichevole accordo. C’è ancora tanta pressione perché la Santa Sede approvi il candidato del Governo (frutto di un lungo lavorio preparatorio da parte del Governo).
Dunque la “rivoluzione copernicana” è ancora ben lontana da venire.
Ostacoli rimanenti?
Dopo aver presentato come già fondamentalmente risolto il nodo delle nomine episcopali, G.V. indica poi i possibili ostacoli per un “cammino liscio” in avanti. Questi ostacoli sarebbero:
a) Il problema dei vescovi clandestini;
b) Il problema dei vescovi in detenzione;
c) La “sollecitazione” vaticana (meno male che G.V. non ha usato la parola “provocazione”) che invita i vescovi cinesi ad evitare la partecipazione all’eventuale prossima “Assemblea dei Rappresentanti Cattolici Cinesi”, la quale non-partecipazione metterebbe in difficoltà i vescovi cinesi e G.V., pieno di compassione, si mette dalla loro parte e ne fa una apologia. Poveri vescovi, dice G.V., “saranno esposti alle filippiche di chi li accusa di arrendevolezza nei confronti della interferenza imposta dalle autorità civili nella vita della Chiesa”.
G.V. aggiunge tre ragioni per cui giudica inopportuna la detta “sollecitazione”:
a) Cita uno dei vescovi cinesi recentemente intervistati da Ucan, il quale dice che “un’Assemblea non ha niente a che fare con lo spirito della Chiesa essendo convocata dal Governo (c’è qualcuno che capisce la logica di questo ragionamento?!)
b) Una eventuale “partecipazione consistente” dei vescovi alle riunioni dell’Assemblea potrebbe mettere in imbarazzo la Santa Sede (la quale è perciò imprudente a mettere a rischio il proprio prestigio);
c) Un generalizzato boicottaggio dell’Assemblea da parte dei vescovi potrebbe offrire spunto per nuove ritorsioni da parte di quei settori della dirigenza cinese che mal sopportano la linea del dialogo inaugurato col Vaticano (il Vaticano farebbe dunque il gioco dei suoi avversari).
Non è difficile accorgersi che lo scopo di tutto l’articolo del nostro amico sta in questa “cauda”, dove egli si crede in dovere di criticare la Santa Sede per questa posizione ferma e risoluta contro l’eventuale Assemblea.
Verrebbe la voglia di domandare a G. V. se sa come viene tenuta questa Assemblea. Si tratta di una vera e propria farsa di governo democratico della Chiesa. Il fatto è che in essa si conferma la posizione di continuare una Chiesa indipendente soggiogata dal Governo con completo svilimento della autorità dei vescovi. Dopo le chiare dichiarazioni del Santo Padre nella sua Lettera alla Chiesa in Cina Popolare sulla natura apostolica della Chiesa, come possono i vescovi ancora prestarsi a questo gioco che copre la loro schiavitù? Non sentono il rimprovero della coscienza? Credono che i fedeli potranno accettare nei loro vescovi simile atto di incoerenza con il loro stato di comunione col Santo Padre?
G.V. però non dispera anche davanti ad un eventuale nuovo impasse. Ha fiducia nella “sperimentata attitudine (della Santa Sede?) a coniugare la chiarezza dei richiami e delle dichiarazioni di principio con l’attenzione flessibile a come le situazioni concrete si muovono”. Se non mi sbaglio, qui G.V. sta dicendo alla Santa Sede: “Non prendete troppo sul serio qualunque atteggiamento che i vescovi avranno preso riguardo alla suddetta Assemblea”. Mi duole ammettere che Gianni Valente forse non sarà deluso nella sua fiducia perché nel passato non troppo lontano, perfino sulle pene delle scomuniche comminate dal Diritto Canonico e richiamate da autorevoli dichiarazioni esplicite, si è potuto sorvolare con disinvoltura.
Che il Signore ci salvi da ogni male.
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