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PALESTINA-ISRAELE
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Card. Pizzaballa: 'Fermiamo la guerra con il coraggio dell'amore'

Lettera del patriarca latino di Gerusalemme alla sua comunità nel "periodo più difficile della nostra storia recente". "Abbiamo il dovere di denunciare che le atrocità del 7 ottobre sono inammissibili. Ma lo sono anche i bombardamenti e i morti a Gaza". "Questa tragedia deve portare religiosi, politici, società civile a un impegno più serio per la pace, lo dobbiamo alle troppe vittime". "Da cristiani non possiamo non guardare anche in questo momento a Gesù che dalla Croce ci dice: la pace non è vittoria sull'altro". 

Gerusalemme (AsiaNews) - Il bisogno di “fermare questa guerra, questa violenza insensata”. Ma insieme anche quello di “condividere una parola di Vangelo che ci aiuti a vivere questo tragico momento unendo i nostri sentimenti a quelli di Gesù”. È il messaggio affidato dal patriarca latino di Gerusalemme, il card. Pierbattista Pizzaballa, in una lettera inviata oggi ai fedeli della diocesi in questi giorni terribili, che il porporato che da più di trent’anni ormai vive nella Città Santa - non esita a definire “uno dei periodi più difficili e dolorosi della nostra storia recente”.

Nella lettera il card. Pizzaballa ripercorre i fatti delle ultime due settimane in tutta la loro gravità. “La coscienza e il dovere morale – scrive - mi impongono di affermare con chiarezza che quanto è avvenuto il 7 ottobre scorso nel sud di Israele, non è in alcun modo ammissibile e non possiamo non condannarlo. Non ci sono ragioni per una atrocità del genere. Si, abbiamo il dovere di affermarlo e denunciarlo. Il ricorso alla violenza non è compatibile col Vangelo, e non conduce alla pace. La vita di ogni persona umana ha una dignità uguale davanti a Dio, che ci ha creati tutti a Sua immagine”.

“La stessa coscienza, tuttavia, con un grande peso sul cuore - prosegue - mi porta oggi ad affermare con altrettanta chiarezza che questo nuovo ciclo di violenza ha portato a Gaza oltre cinquemila morti, tra cui molte donne e bambini, decine di migliaia di feriti, quartieri rasi al suolo, mancanza di medicinali, acqua, e beni di prima necessità per oltre due milioni di persone. Sono tragedie che non sono comprensibili e che abbiamo il dovere di denunciare e condannare senza riserve. I continui pesanti bombardamenti che da giorni martellano Gaza causeranno solo morte e distruzione e non faranno altro che aumentare odio e rancore, non risolveranno alcun problema, ma anzi ne creeranno dei nuovi”.

“È solo ponendo fine a decenni di occupazione, e alle sue tragiche conseguenze - aggiunge - e dando una chiara e sicura prospettiva nazionale al popolo palestinese che si potrà avviare un serio processo di pace. Se non si risolverà questo problema alla sua radice, non ci sarà mai la stabilità che tutti auspichiamo. La tragedia di questi giorni deve condurci tutti, religiosi, politici, società civile, comunità internazionale, ad un impegno in questo senso più serio di quanto fatto fino ad ora. Solo così si potranno evitare altre tragedie come quella che stiamo vivendo ora. Lo dobbiamo alle tante, troppe vittime di questi giorni, e di tutti questi anni. Non abbiamo il diritto di lasciare ad altri questo compito”.

Dentro tutto questo, però, dice il patriarca latino di Gerusalemme alla sua comunità, non possiamo smettere di guardare a Cristo. “Abbiamo bisogno di una Parola che ci accompagni, ci consoli e ci incoraggi. Ne abbiamo bisogno come l’aria che respiriamo”. Cita in proposito un versetto del Vangelo di Giovanni, parole pronunicate da Gesù subito prima della sua passione: “Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). “Non dice che vincerà, ma che ha già vinto. Anche nel dramma che verrà, i discepoli potranno avere pace”. Una pace che non è “né irenica, né rassegnata”, ma fondata sul modo in cui Gesù ha vinto e cioè sulla croce. “Non con le armi, non con il potere politico, non con grandi mezzi, né imponendosi - commenta il cardinale -. La pace di cui parla non ha nulla a che fare con la vittoria sull’altro. Ha vinto il mondo, amandolo. È su questo che si gioca la nostra fede oggi”.

“Avere il coraggio dell’amore e della pace qui, oggi - continua - significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare. Significa impegnarsi personalmente per la giustizia, essere capaci di affermare e denunciare la verità dolorosa delle ingiustizie e del male che ci circonda, senza però che questo inquini le nostre relazioni. Significa impegnarsi, essere convinti che valga ancora la pena di fare tutto il possibile per la pace, la giustizia, l’uguaglianza e la riconciliazione. Il nostro parlare non deve essere pieno di morte e porte chiuse. Al contrario, le nostre parole devono essere creative, dare vita, creare prospettive, aprire orizzonti”.

“Ci vuole coraggio per essere capaci di chiedere giustizia senza spargere odio – aggiunge ancora Pizzaballa -. Ci vuole coraggio per domandare misericordia, rifiutare l’oppressione, promuovere uguaglianza senza pretendere l’uniformità, mantenendosi liberi. Ci vuole coraggio oggi, anche nella nostra diocesi e nelle nostre comunità, per mantenere l’unità, sentirsi uniti l’uno all’altro, pur nelle diversità delle nostre opinioni, delle nostre sensibilità e visioni”.

Ed è dentro a questa azione concreta che si colloca la preghiera. “Prego per tutti noi, e in particolare per la piccola comunità di Gaza, che più di tutte sta soffrendo – scrive il patriarca latino di Gerusalemme -. In particolare, il nostro pensiero va ai 18 fratelli e sorelle periti recentemente, e alle loro famiglie, che conosciamo personalmente. Il loro dolore è grande, eppure, ogni giorno di più mi rendo conto che loro sono in pace”. Ma è la preghiera “per tutte le vittime innocenti. La sofferenza degli innocenti davanti a Dio ha un valore prezioso e redentivo, perché si unisce alla sofferenza redentrice di Cristo. Che la loro sofferenza avvicini sempre di più la pace”.

La lettera si conclude ricordando Maria Regina di Palestina, patrona della diocesi, venerata nel santuario mariano di Deir Rafat - voluto un secolo fa dall’allora patriarca Luigi Barlassina a metà strada tra Tel Aviv e Gerusalemme - la cui festa liturgica cade il 25 ottobre. “Quel santuario fu eretto in un altro periodo di guerra, e fu scelto come luogo speciale per pregare per la pace” ricorda il card. Pizzaballa annunciando l’intenzione di riconsacrare nuovamente la Terra Santa alla Regina di Palestina. “Non potremo quest’anno ritrovarci tutti, perché la situazione non lo permette – conclude -. Ma sono certo che tutta la diocesi sarà unita in quel giorno per pregare unita e solidale per la pace, non quella del mondo, ma quella che ci dona Cristo”.

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