Canberra: referendum per dare voce agli aborigeni. Ma non tutti i nativi lo approvano
La proposta del primo ministro Anthony Albanese prevede il riconoscimento delle popolazioni autoctone nella costituzione e la creazione di un organo consultivo chiamato "Voice". L'opposizione non lo ritiene necessario, mentre molti indigeni vorrebbero che prima venisse negoziato un trattato con tutte le comunità.
Canberra (AsiaNews) - Dopo mesi di dibattiti politici, entro la fine dell’anno in Australia si terrà un referendum per il riconoscimento nella Costituzione delle popolazioni indigene, formate dagli aborigeni e dagli abitanti delle Isole dello stretto di Torres (i popoli autoctoni che abitano un arcipelago del Queensland, nel nord del Paese). Lo ha annunciato oggi il primo ministro laburista Anthony Albanese presentando il quesito del referendum, che la prossima settimana verrà sottoposto al Parlamento prima della votazione finale prevista a giugno.
Il referendum dovrebbe invece tenersi tra ottobre e dicembre e se la votazione avrà esito positivo non solo verrà emendata la Costituzione - che attualmente non menziona i circa 700mila aborigeni del Paese - ma verrà anche creato un organo consultivo chiamato “Voice” attraverso il quale gli aborigeni potranno esprimere il loro parere sulle politiche del governo senza tuttavia avere la possibilità di porre un veto.
La creazione di tale organo era già stata proposta nel 2017 da un gruppo di 250 leader aborigeni che avevano presentato un documento - ritenuto storico per molti punti di vista, ma non unanime - chiamato Uluru Statement from the Heart.
Nella Dichiarazione di Uluru (al tempo respinta dal primo ministro conservatore Malcolm Turnbull) gli aborigeni scrivono di sentirsi “impotenti” quando tentano di affrontare i problemi strutturali che affliggono la loro comunità e che portano a un’aspettativa di vita più breve, performance scolastiche e condizioni sanitarie peggiori, e tassi di incarcerazione in proporzione più elevati rispetto ai discendenti dei coloni britannici.
Secondo un sondaggio dello scorso anno, il 60% dei cittadini australiani non indigeni vorrebbe che il governo facesse di più per gli aborigeni e gli abitanti delle Isole dello stretto di Torres, ma il progetto riguardo la creazione di Voice non gode di un appoggio unanime, né tra i politici australiani, né da parte dei popoli indigeni. C'è chi teme che la divisione del Paese lungo linee razziali e diversi gruppi negli ultimi mesi hanno condotto campagne a favore del “no”, lamentando l’appiattimento della questione solamente a favore o contro la proposta, oscurando la diversità di opinioni all’interno della comunità indigena.
L’opposizione sostiene che gli aborigeni siano già ben rappresentati in Parlamento grazie alla presenza di 11 deputati, che però secondo i sostenitori di Voice provengono da circoscrizioni specifiche e non considerano gli interessi aborigeni nel loro insieme. Alcuni ritengono che nemmeno la Dichiarazione di Uluru rappresenti tutti i gruppi di popolazioni autoctone presenti in Australia, mentre altri vorrebbero avere più garanzie riguardo l’esatto funzionamento dell’organo di rappresentanza. Al momento infatti non è ancora chiaro come sarà Voice in pratica. Secondo alcune proposte potrebbe essere formato da 24 membri provenienti da tutti i territori del Paese e dalle Isole di Torres, ma nei mesi scorsi Albanese ha irritato anche alcuni sostenitori della proposta dicendo che Voice sarà “asservito” al Parlamento. Allo stesso tempo il premier aveva dichiarato che i dettagli sul funzionamento dell’organo consultivo saranno definiti solo dopo l’approvazione definitiva del referendum.
Altri aborigeni temono invece che il loro riconoscimento nella Costituzione equivalga a una cessione delle loro terre al governo australiano e non approvano la modalità referendaria, preferendo trattative dirette con il governo che portino alla firma di un accordo legalmente vincolante per Canberra. L’Australia è infatti l’unica nazione del Commonwealth britannico anon aver mai firmato un trattato con i propri popoli indigeni. Lidia Thorpe ex portavoce dei Verdi, ha lasciato il partito (che ora si è detto a favore del “sì”) perché chiedeva che prima venisse negoziato un trattato.
La Dichiarazione di Uluru chiede che venga istituita una Commissione Makarrata con il compito di sovraintendere i prossimi lavori e raccontare la verità sulla storia delle comunità aborigene.
Per gli osservatori internazionali il successo del “sì” alle urne non è per nulla scontato: per passare, la proposta deve raccogliere il 50% dei voti nazionali e la maggioranza in almeno quattro Stati australiani su sei.
14/10/2023 11:46