Canberra: il no vince al referendum ma non nelle comunità aborigene
Nei sei Stati dell'Australia la proposta per la creazione di un organismo aborigeno all'interno del Parlamento è stata bocciata con percentuali tra il 60% e il 40%. Le analisi mostrano però come nelle aree più remote le comunità autoctone fossero largamente a favore dell'organo consultivo che avrebbe presentato al governo le proprie istanze. Una giovane autoctona: "Siamo demoralizzati, ma ci rialzeremo".
Canberra (AsiaNews) - L’Australia ha respinto a stragrande maggioranza il progetto proposto dal governo di dare più voce agli aborigeni australiani: al referendum che si è tenuto sabato 14 ottobre, tutti e sei gli Stati del Paese hanno fatto prevalere il “no” con percentuali dal 60% al 40%, dopo una campagna molto tesa e dibattuta.
La proposta prevedeva la modifica della Costituzione per fare in modo che anche gli indigeni fossero citati nel documento. Ma, più importante, prevedeva anche la creazione di un organo consultivo che avrebbe dovuto chiamarsi “The Voice”, la cui istituzione era stata avanzata per la prima volta nel 2017 dall’Uluru Statement from the Heart, un documento firmato dai leader indigeni che definiva una tabella di marcia per la riconciliazione con il governo australiano.
Gli aborigeni e gli abitanti delle isole dello Stretto di Torres - il 3,8% di una popolazione di 26 milioni - abitano l'Australia da almeno 65mila anni ma, oltre a non essere menzionati nella Costituzione, rappresentano le fasce più svantaggiate della nazione. La città di Alice Springs, che sorge ai margini dell’entroterra desertico australiano all'interno del Terriorio del Nord, all’inizio dell’anno era stata al centro di una campagna mediatica a causa dell’aumento della criminalità, della violenza e del consumo di alcol tra le popolazioni indigene, una conseguenza, secondo diversi politici e attivisti locali, di decenni di “abbandono cronico e sistemico” di coloro che risiedono nelle aree marginalizzate.
Secondo la campagna per il “sì”, la realizzazione della proposta avrebbe permesso di ridurre le disuguaglianze sistemiche all’interno del Paese. Ma la campagna per il “no”, guidata dal leader dell’opposizione Peter Dutton contro il primo ministro laburista Anthony Albanese, aveva raccolto al proprio interno anche diverse personalità aborigene, tra cui, per esempio, Warren Mundine, uomo d’affari ed ex politico, rappresentante del popolo Bundjalung. “Questo è un referendum che non avremmo mai dovuto tenere perché è stato costruito sulla menzogna che gli aborigeni non hanno voce”, ha dichiarato ai media. Anche l’attivista per gli aborigeni e senatrice Jacinta Nampijinpa Price si è schierata a favore del “no”, nonostante la comunità da cui proviene, nel Territorio del Nord, abbia votato a favore del “sì”. Anche la senatrice aborigena Lidia Thorpe si era opposta a “The Voice”, chiedendo che venisse data la priorità a un accordo giuridicamente vincolante tra i popoli aborigeni e il governo australiano: "Questa non è la nostra Costituzione, è stata sviluppata nel 1901 da un gruppo di vecchi bianchi, e ora chiediamo alla gente di inserirci lì - no grazie", ha affermato Thorpe.
Sarebbe stato irrealistico aspettarsi un totale accordo tra le varie comunità indigene, hanno sottolineato diversi commentatori. Tuttavia, secondo un’analisi dell’emittente locale ABC News, i sondaggi rivelano che i popoli a favore della proposta erano quelli che abitano le aree più remote e svantaggiate dell’Australia, dove risiedono le popolazioni che registrano i peggiori indicatori in termini di salute e istruzione e avevano quindi bisogno che le loro istanze venissero accolte a livello parlamentare.
Tra le popolazioni che vivono nel Parco Nazionale Kakadu, parte del Territorio del Nord, per esempio, gli aborigeni, circa 11mila persone, hanno votato per il 73% a favore del “sì”. Ad aver poi bilanciato i voti e fatto prevalere i “no” pare siano state le preferenze degli abitanti urbani. L’analista politico Simon Jackman ha confermato i risultati dell’indagine, affermando che nelle circoscrizioni in cui gli indigeni erano più del 50% il voto per il “sì” ha registrato una media del 63%. Oppure, a Palm Island, nel Queensland, dove la popolazione è per il 93% indigena, tre individui su quattro hanno votato a favore della creazione di “The Voice”.
L’analisi dei risultati ha inoltre evidenziato che il numero di giovani indigeni che hanno votato al referendum è stato maggiore rispetto a quelli che hanno partecipato alle elezioni governative lo scorso anno. “Penso a tutti i leader che hanno combattuto instancabilmente per i diritti degli aborigeni, e soprattutto per questa ‘The Voice’”, ha detto alla ABC News Armani Francois, 18 anni, indigena Arrernte. “Mi sento un po' demoralizzata, ma penso anche che ci rialzeremo e che il cambiamento arriverà".
Mentre il premier Albanese ha affermato di rispettare il voto e “il processo democratico che lo ha portato a termine”, Dean Parkin, direttore della campagna Yes23, si è rivolto agli oppositori: “Voglio parlare in modo molto diretto a quegli australiani che hanno votato ‘no’ con durezza nel cuore, vi prego di comprendere che gli aborigeni e gli abitanti delle isole dello Stretto di Torres non hanno mai voluto portarvi via nulla”, ha dichiarato. “Tutto ciò che desideriamo è unirci a voi, alla nostra storia indigena, alla nostra cultura indigena, non per togliere o diminuire ciò che avete, ma per aggiungervi, per rafforzarlo, per arricchirlo”.
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