Canberra affonda due progetti della Belt and Road
Erano stati stipulati dallo Stato di Victoria. Per gli australiani, l’iniziativa di Xi Jinping è uno strumento di propaganda. Relazioni sempre più tese tra i due governi. Covid, opposizione Usa, instabilità geopolitica, debiti dei Paesi partner e mancanza di risorse minacciano le nuove Vie della seta.
Canberra (AsiaNews) – La Cina usa la Belt and Road Initiative per scopi di propaganda. Così il ministro australiano della Difesa Peter Dutton ha difeso oggi la decisione del governo di annullare due accordi siglati dallo Stato di Victoria nel quadro delle nuove Vie della seta di Pechino.
L’annuncio dello stop è stato dato ieri. Secondo l’amministrazione Morrison, la Belt and Road è contraria alla politica estera dell’Australia. Xi Jinping ha lanciato il progetto nel 2013 per trasformare la Cina nel fulcro del commercio mondiale. Dutton ha precisato che Canberra non ha problemi con il popolo cinese, ma si oppone ai valori del Partito comunista cinese.
Se ravvisa una minaccia alla sicurezza nazionale, l’esecutivo australiano può bloccare gli accordi che le amministrazioni del Paese – compresi i governi statali – stringono con soggetti stranieri. Il potere in questione è riconosciuto da una legge varata lo scorso anno, che secondo molti osservatori ha una chiara valenza anti-Pechino.
Stamane l’ambasciata cinese in Australia ha condannato la mossa di Canberra, ritenuta “irragionevole” e “provocatoria”. Per i diplomatici cinesi, essa contribuirà a peggiore le già tese relazioni tra i due Paesi, finendo per ritorcersi contro gli interessi australiani.
Da tempo i rapporti tra i due governi si sono deteriorati. Gli australiani sono preoccupati per il crescente attivismo militare della Cina nel Mar Cinese meridionale, e sono stati tra i primi a unirsi al boicottaggio di Huawei promosso da Washington. Il livello di scontro ha raggiunto livelli preoccupanti dopo che Canberra un anno fa si è unita ad altri Paesi nel chiedere un’indagine internazionale sull’origine del coronavirus e la gestione della pandemia da parte di Pechino.
Per ritorsione, il gigante asiatico ha preso di mira l’export australiano, vietando l’importazione di carbone e imponendo dazi su prodotti come vino, orzo, zucchero, legname, cotone, carne e aragoste.
La decisione di Canberra apre un altro vuoto nella Belt and Road. La Commissione cinese per le riforme e lo sviluppo ha osservato di recente che l’iniziativa è minacciata dall’opposizione degli Usa e di molti suoi alleati. Sono un problema anche l’instabilità politica di molti Paesi partner di Pechino e le poche risorse che imprese ed enti statali cinesi possono investire nelle nuove Vie della seta.
Vi è poi la drammatica situazione debitoria di molte nazioni che cooperano con i cinesi nella Belt and Road. Il caso più eclatante è quello dello Sri Lanka. Nei giorni scorsi la Cina ha accordato un prestito di 500 milioni di dollari a Colombo, la seconda tranche di un salvataggio finanziario da un miliardo di dollari stipulato lo scorso anno.
Il Paese deve già ripagare un alto debito alla Cina. Secondo resoconti dei media, la nuova linea di credito è stata concessa dopo che l’amministrazione Rajapaksa si è impegnata a rispettare il contratto d’affitto del porto di Hambantota a Pechino, e a riconoscere ai cinesi un potere di supervisione sul nuovo scalo di Colombo.
I cinesi sostengono che il danno maggiore alla Belt and Road è arrivato però dalla pandemia da Covid-19. Secondo il ministero degli Esteri, a causa della crisi pandemica nel 2020 un quinto dei progetti ha avuto un serio contraccolpo; il 40% ha avuto difficoltà; e il 30-40% è stato colpito in modo limitato. Come sottolineato dal China Global Investment Tracker, in realtà gli investimenti cinesi nella Belt and Road hanno cominciato a calare prima dell’emergenza sanitaria. Nel 2018 essi ammontavano a 118 miliardi di dollari; un anno dopo sono scesi a 103 miliardi, per poi crollare a 46,6 miliardi nel 2020.
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