Cairo: primo sì alla riforma costituzionale, al-Sisi al potere oltre il 2030
Con il voto del Parlamento al via l’iter che porterà maggiori poteri al presidente. Favorevoli 485 deputati su 596. Oltre all’estensione del mandato, cresce il ruolo delle Forze armate sulla politica. Attivista egiziano: Al-Sisi comanda una “unità militare, non un Paese”. P. Rafic: “Esiste l’arma del voto”.
Il Cairo (AsiaNews) - Un pacchetto di riforme costituzionali all’interno del quale è contenuta una norma che, se approvata, permetterebbe all’attuale presidente Abdel-Fattah al-Sisi di restare al potere fino e oltre al 2030. Secondo i critici, questi cambiamenti aprirebbero di fatto la porta all’autoritarismo e a una presa di potere “militare” sul Paese. È di questo avviso l’attivista egiziano Mina Thabet, cristiano e già leader della Maspero Youth Union, oggi responsabile dei programmi su libertà e minoranze della Egyptian Commission for Rights and Freedoms (Ecrf). Altri predicano cautela, come il portavoce della Chiesa cattolica egiziana secondo cui le norme “vanno ancora approvate e ratificate tramite referendum. Poi esiste l’arma del voto”.
Ieri il Parlamento egiziano, con un voto a larghissima maggioranza, ha approvato l’emendamento costituzionale che apre l’iter all’ampliamento dei limiti del mandato presidenziale. La norma - approvata con 485 voti favorevoli su un totale di 596 deputati - si inserisce in un quadro più ampio di riforme costituzionali che rafforzano anche il ruolo delle Forze armate sulla politica nazionale.
Entro 60 giorni il Parlamento dovrebbe votare il testo definitivo, ma non si profilano stravolgimenti perché Parlamento e istituzioni chiave sono nelle mani di fedelissimi del presidente. Ai primi di maggio in concomitanza con l’inizio del Ramadan vi sarà il referendum consultivo. Politici, attivisti e membri della società civile hanno già pubblicato una lettera aperta in cui definiscono “illegale” l’allungamento dei termini presidenziali. Questa riforma sancirebbe in modo ulteriore lo sprofondamento del Paese verso l’autoritarismo, a otto anni dalle rivolte pro-democrazia che hanno determinato la cacciata del “faraone” Hosni Mubarack.
Nell’aprile dello scorso anno al-Sisi, ex capo dell’esercito, ha ottenuto la rielezione per un secondo mandato quadriennale alla guida del Paese. In questi anni molte cose sono cambiate: in positivo nel settore economico, infrastrutturale e nella difesa - almeno in linea di principio - della libertà religiosa. Tuttavia, molto resta ancora da fare sul piano sociale, politico e dei diritti; secondo i critici egli avrebbe utilizzato il pretesto della stabilità e della crescita economica per rafforzare la repressione del dissenso e imprimere un giro di vite sulle libertà civili.
Per p. Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, l’iter di approvazione “è al vaglio del Parlamento” e “con tutta probabilità il testo subirà dei cambiamenti” prima del referendum consultivo. “La strada è ancora lunga - spiega - e vi un fattore fondamentale: al-Sisi deve presentarsi alle urne e ottenere la maggioranza dei consensi”. Il sacerdote non scorge alcun pericolo di “autoritarismo, perché vi è il potere delle urne. E poi - avverte - la riforma è ben più ampia e prevede un possibile passaggio da una a due camere con la nascita del Senato, un vice-presidente, un aumento della quota di cristiani e di donne in Parlamento”.
Secondo il sacerdote al-Sisi “molto ha fatto, specialmente nella lotta al terrorismo e nel campo delle infrastrutture. Certo, il rischio attentati non è eliminato, ma vi è maggiore sicurezza. E poi il Paese si sta sviluppando, nelle strade, nel settore energetico, nell’industria… abbiamo avviato solo ora un percorso di sviluppo che doveva partire 40 anni fa”.
Diverso il parere dell’attivista egiziano, oggi a Londra, Mina Thabet in prima fila ai tempi della rivolta che ha portato alla caduta dell’ex presidente islamista Mohamed Morsi. “Non si può parlare di riforma o di emendamento costituzionale - attacca - ma di colpo alla democrazia. Egli cerca di trarre vantaggio dal riconoscimento popolare per aver cacciato i Fratelli Musulmani e gioca al ruolo di salvatore della patria. In realtà egli ha messo una museruola sulla vita pubblica, negando e reprimendo le libertà civili… si è aperto la strada per diventare il prossimo dittatore egiziano”.
L’attivista ricorda che il voto può fare poco per contrastarne il mantenimento del potere, perché alle ultime elezioni “non vi era alcuna personalità in grado di competere con lui”. “In Egitto vi è una mancanza di cultura democratica, che non riguarda solo il processo del voto ma tutto il sistema. Le persone sono registrate e hanno paura di parlare, vengono spiate anche nelle conversazioni o nelle relazioni più intime”. “Qui non si parla solo di restare al potere per altri 10/15 anni, ma di una espansione senza precedenti sugli altri poteri, compresa la magistratura. Il presidente - conclude - pensa di essere al comando di una unità militare, non alla guida di un Paese del quale non sa nemmeno risolvere i problemi”.