11/06/2010, 00.00
IRAQ - CINA
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Buone opportunità in Iraq per le ditte petrolifere cinesi

Le ditte occidentali sono caute a investire, per timore di sabotaggi e attentati e per l’incertezza politica. Lasciano così spazio a Pechino, che vuole assicurarsi nuove fonti di energia, piuttosto che cercare rapidi guadagni. La Cina sempre più leader energetica nella penisola araba.

Baghdad (AsiaNews/Agenzie) – Il consumo di petrolio in Cina crescerà di circa il 45% nei prossimi 5 anni, secondo l’ultimo rapporto mensile dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea). Alla continua ricerca di nuove fonti di energia, Pechino sta rinforzando la sua posizione in Iraq, Paese nel quale molte ditte occidentali non investono per l’elevato rischio di attentati.

Il consumo mondiale di energia è sceso nel 2009 dell’1,1%, mentre è salito in Cina del 6,7% ed è pari a 8,6 milioni di barili di petrolio al giorno (mbpg), secondo dati della British Petroleum. L’economia cinese è in crescita e l’Iea prevede che la sua domanda di petrolio giunga entro il 2010 a 9,2 mbpg (+8,5% rispetto al 2009). Il crescente fabbisogno, insieme alla crisi europea e ai problemi per il disastro petrolifero del Golfo del Messico, fanno ritenere che aumenterà la penetrazione di Pechino nelle regioni dove può crescere la produzione di energia.

In Iraq, terzo Paese al mondo per giacimenti di greggio, la Cina era assente quando c’era Saddam Hussein e ha molto criticato gli Usa per l’intervento militare. Eppure ora ne è grande beneficiaria: di recente ha firmato 3 contratti per la ricerca e l’estrazione di greggio, superando la concorrenza delle ditte occidentali molto preoccupate per problemi di sicurezza. Dal 2003, su circa 12 accordi stipulati da Baghdad per lo sfruttamento di giacimenti, 4 sono stati fatti con la Cina. Un altro accordo Pechino ha stipulato con la regione autonoma del Kurdistan, forse la zona più ricca di greggio nel Paese.

Esperti osservano che alle ditte petrolifere cinesi, di proprietà statale o sostenute dallo Stato, importa anzitutto assicurarsi fonti di energia, piuttosto che il pericolo di attentati e distruzioni o i rischi per la fluttuazione del prezzo del greggio o per la instabilità politica del Paese.

Inoltre la Cina ha molto rafforzato la sua presenza nella penisola arabica, dalla quale ormai proviene circa la metà del greggio che acquista, soprattutto da Arabia Saudita, oltre che da Iran (3° maggior fornire della Cina, anche grazie all’assenza di ditta occidentali per l’embargo contro Teheran per la sua attività nucleare). La presenza in Iraq, anche con la creazione di raffinerie, è molto utile per Pechino, anche per la forte presenza cinese in Iran.

D’altra parte la produzione petrolifera di Baghdad è di soli 2,4 mbpg, molto inferiore a quando c’era Saddam, dopo anni di guerra, inerzia, sabotaggi e mancanza di capitali. Ora le autorità irachene vogliono portare la produzione a 12 mbpg entro 7 anni. Progetto ritenuto ottimista, ma nel quale comunque la Cina investe, scavando pozzi nella zona di Al-Waha e preparandosi a realizzare infrastrutture nella provincia Wasit, più in pace di altre. La ditta cinese ha avuto problemi con i contadini locali, dopo che nel 2009 ha distrutto alcune piantagioni per cercare giacimenti. Ma sono intervenute le autorità irachene e hanno risolto la situazione con i leader tribali.

Baghdad ha così confermato la volontà di aiutare le compagnie estere che investono nel petrolio. Le autorità hanno pure creato un corpo di vigilanza di centinaia di persone per proteggere le infrastrutture petrolifere cinesi.

Esperti ritengono che questa aggressiva penetrazione cinese nel lungo termine può ridisegnare lo scenario dell’energia mondiale, anche perché la ditte petrolifere statali cinesi non hanno necessità di  guadagnare con rapidità.

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