18/05/2004, 00.00
Vaticano
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Buon compleanno, Santità!

In occasione del compleanno del Papa esce il suo libro "Alzatevi, andiamo!".

Città del Vaticano (AsiaNews) - Oggi Giovanni Paolo II compie 84 anni. Nono sono in programma festeggiamenti ufficiali, ma sono migliaia i telegrammi di auguri arrivati in Vaticano, insieme a molte torte, che prelati e persone comuni hanno voluto mandare al Papa. Una sarà sicuramente a tavola: probabilmente una crostata, fatta dalle suore dell'appartamento.

   Tra i "doni", c'è l'uscita, oggi, di "Alzatevi, andiamo!", il suo libro sul ministero del vescovo, riflessioni e insegnamenti accompagnati e sviluppati sui ricordi dei 20 anni, dal 1958 al 1978, durante i quali è stato vescovo a Cracovia, con qualche riferimento anche a fatti accaduti durante il pontificato.

Un libro che spiega con semplicità la missione del vescovo, che deve sforzarsi di essere d'esempio per la fede, come deve esserlo nella carità, nella fiducia e l'abbandono alla volontà di Dio, nel seguire l'esempio di Gesù. Un libro che sarà guida per i credenti.

   Si ripercorre così la vicenda del vescovo Wojtyla, che crede al suo angelo custode, che "sa cosa sto facendo", al quale "è sempre piaciuto cantare", sciare ed andare in canoa, cosa che stava facendo quando fu chiamato a Varsavia per una "comunicazione". Era in vacanza con i suoi ragazzi, che nella durezza dei tempi, per non dare nell'occhio, lo chiamavano 'zio'. La canoa ed anche un camion carico di sacchi di farina, e portandosi dietro il sacco a pelo, gli servirono per andare a prendere il treno per Varsavia. Avuta la nomina dal primate di Polonia, la comunicò al suo arcivescovo, fece una Via Crucis, e tornò ai laghi Masuri ed alla canoa. Pensava che sarebbe stata l'ultima volta, ma, rivela, è riuscito a farlo ancora fino al 1978.

Il padre e il pastore

Ma dopo "la vocazione", c'è "l'attività del vescovo", "l'impegno scientifico e pastorale", "la paternità del vescovo", "la collegialità episcopale", "Dio e il coraggio". Sono i sei capitoli del libro: ci sono le visite alle parrocchie, anche le più sperdute; gli incontri con i giovani, in particolare con gli universitari e quelli con le famiglie; il coinvolgimento dei laici e degli intellettuali nell'opera di evangelizzazione, il costante ascolto della voce dei sacerdoti, per i quali la sua porta era sempre aperta, dei loro problemi e delle loro proposte. Senza sentirsi mai solo, afferma. Il che, tra l'altro, gli dà modo di contestare la tesi che proprio la solitudine del prete sia il motivo per cui bisognerebbe permettere loro di avere moglie. Ipotesi che il Papa torna a respingere, mentre afferma che la paternità del vescovo deve raggiungere anche i sacerdoti che "hanno lasciato". Perché il vescovo è "il pastore". La parabola del Buon pastore che cura le sue pecore, cerca quella smarrita e se la carica sulle spalle viene citata e ricordata più volte, per affermare che il pastore "è per le pecore e non le pecore per il pastore"; per questo deve essere guida per il gregge, ma per aiutarlo, per servirlo. Il concetto di servizio è ribadito più volte e dà anche spazio ad un spunto di autocritica, quando il Papa dice che forse, ha "comandato poco". Un po' per carattere, spiega, un po' per l'esempio di Cristo, venuto per servire e non per essere servito.

La lotta contro il comunismo

Anche la lotta contro il comunismo che limitava, quando non impediva, la libertà di religione era per questo un dovere del vescovo. È un avversario presente sullo sfondo anche quando non è citato, fino allo scontro per la chiesa di Nova Huta, la cittadina del socialismo reale dove per questo non ci doveva essere la chiesa. Ma mons. Wojtyla la voleva e gli operai erano con lui. Ci furono anche scontri fisici tra loro e le forze di polizia, con feriti. E il card. Wojtyla inaugurò la chiesa.

Perché nel frattempo era divenuto arcivescovo e cardinale, un "proletario", nota, sulla cattedra di Cracovia, tradizionalmente riservata vescovi-principi. Ricorda l'ingresso nel Wawel: il castello, la cattedrale. Un luogo al quale si dice legatissimo fin dall'infanzia, tanto che il vedervi sventolare la croce uncinata durante l'occupazione nazista fu una "esperienza dolorosa". Nella cattedrale voleva, ed ha potuto, celebrare la sua prima messa, nella cripta di San Leonardo, piena di ricordi della grandezza patria, il luogo che gli è più caro. Del Wawel ricorda la croce di Edwige, la regina che egli ha canonizzato e dove è tornato ogni volta che è andata a Cracovia.

Shakespeare, Molière ed Edith Stein

Di Polonia nel libro si parla molto, e non solo per il periodo di tempo al quale si riferisce. Giovanni Paolo II si dichiara, e lo si sente, profondamente e inscindibilmente parte della sua terra e della sua storia. Come quando ricorda il santuario dove ha fatto gli esercizi spirituali prima dell'ordinazione episcopale e dove dice di esserci tornato, da Papa, per una gratitudine che sente di dover avere. E "forse non soltanto io, ma tutta la Polonia".

Ci sono anche episodi "fuori periodo", come il rammarico che gli espresse Kotlarczyk, il direttore del suo gruppo teatrale, quando seppe che si sarebbe fatto prete, "sprecando" il suo talento. O l'amore per la lettura, che in quel periodo passò da Shakespeare e Molière, cari al Wojtyla giovane attore, a Tommaso d'Aquino e Max Scheler, alla metafisica ed alla fenomenologia, quando studiava da sacerdote, all'ammirazione, fin da giovane, per Edith Stein, l'ebrea convertita, fattasi suore, uccisa ad Auschwitz, da lui proclamata santa e patrona d'Europa.

Ed alla fine, logica conclusione, c'è l'incoraggiamento ad essere "forti nella fede", perché "la più grande mancanza dell'apostolo è la paura", "la mancanza di fiducia nella potenza del Maestro". "Davvero non si possono voltare le spalle alla verità, cessare di annunciarla" e "bisogna rendere testimonianza alla verità, anche a costo persino del sangue, come ha fatto Cristo stesso". Ed anche lui.

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