Brasilia, immigrati dal Bangladesh costretti a lavorare in condizioni di schiavitù
Dhaka (AsiaNews/Agenzie) - La polizia brasiliana ha scoperto e denunciato una banda specializzata nel traffico di immigrati provenienti dal Bangladesh, che una volta entrati nel Paese sudamericano venivano privati del passaporto e costretti a lavorare in condizioni di schiavitù. Almeno un'ottantina di persone, in larga maggioranza operai semplici e privi di particolari qualifiche, sono state attirate da connazionali con la promessa di lavoro a fronte di uno stipendio mensile fino a 1.500 dollari. Ma la tratta si concludeva con la riduzione in schiavitù e l'obbligo di corrispondere - attraverso la loro opera - quasi 10mila dollari ai loro aguzzini, prima di tornare liberi e fare rientro nello Stato asiatico.
Il Brasile, la più importante economia di tutto il continente latinoamericano, ha visto crescere in maniera esponenziale i casi di immigrazione clandestina nell'ultimo periodo. I trafficanti utilizzano le vie di transito lungo i confini con Perù, Bolivia e Guyana, per riuscire ad entrare nel Paese. La grande maggioranza degli immigrati viene poi sfruttata nel comparto dell'edilizia; con i mondiali del 2014 alle porte e un ritardo complessivo nella realizzazione degli impianti, la richiesta di manodopera - costretta a "condizioni di schiavitù" - è cresciuta a dismisura.
Le forze dell'ordine hanno scoperto gli operai bangladeshi all'interno di otto diverse casupole, nella cittadina di Samambaia, nei pressi di Brasilia, ridotti in condizioni disumane. I trafficanti sono stati identificati e gli inquirenti hanno emesso 14 mandati di cattura nei loro confronti. fra questi vi sono anche quattro "coyote", termine col quale vengono definite le persone che si occupano del transito illegale alla frontiera.
La vicenda dei lavoratori del Bangladesh in Brasile è solo l'ultimo di una serie di scandali che ha riguardato i lavoratori asiatici, in patria e all'estero. Nei giorni scorsi AsiaNews ha pubblicato la storia di 34 lavoratori indonesiani ridotti in condizioni di schiavitù, una denuncia che ha seminato sconcerto e indignazione nel Paese. Cui si aggiunge, sempre in Bangladesh, il crollo della fabbrica-lager, che ha causato oltre mille morti.