Bkerké: leader religiosi libanesi invocano la pace (ma con i distinguo degli sciiti)
Nella sede del patriarcato maronita riuniti i principali leader delle 18 comunità religiose riconosciute nel Paese. Per il card. Raï è “un segno di speranza”. L’urgenza di un cessate il fuoco, l’elezione di un nuovo presidente della Repubblica che goda del “consenso”, l'unità nazionale e la causa palestinese tra i punti del comunicato finale.
Beirut (AsiaNews) - Le comunità religiose del Libano si sono riunite ieri a Bkerké, sede del patriarcato maronita, per un’assemblea generale di emergenza alla presenza del nunzio apostolico mons. Paolo Borgia, in rappresentanza della Santa Sede. Al termine dell’incontro, i capi delle diverse fedi hanno lanciato un appello al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite perché “si riunisca in tutta fretta per votare una risoluzione che imponga un cessate il fuoco” nel Paese dei cedri. Questa richiesta è arrivata mentre il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant, respingeva ancora una volta con sdegno la prospettiva di una tregua, affermando che qualsiasi trattativa volta a porre fine ai combattimenti con Hezbollah deve essere condotta solo “sotto il fuoco” (delle armi).
Di fronte a una platea composta da una trentina di personalità in rappresentanza delle 18 comunità religiose riconosciute in Libano, nella grande sala dei lavori della sede patriarcale sono intervenuti a turno: il primate maronita card. Beshara Raï; il muftì della Repubblica Abdel Latif Derian; il vice-presidente del Consiglio superiore sciita, Ali el-Khatib; lo sceicco druso Akl, Sami Abil-Mouna; il patriarca greco-ortodosso Youhanna X Yazigi; il capo della comunità alawita Ali Kaddour.
Questi interventi paralleli convergevano su alcuni punti considerati fondamentali, pur con alcune distinzioni emerse nel discorso pronunciato dall’esponente sciita: l’urgenza di un cessate il fuoco, l’assoluta necessità di eleggere un presidente, l’importanza dell’unità nazionale, la centralità dello Stato, la centralità della causa palestinese e il rispetto dell’accordo di Taif.
Il patriarca Beshara Raï ha esordito nel suo intervento dando il benvenuto ai presenti e osservando come l’assemblea dovrebbe rappresentare “un segno di speranza” per i libanesi. In particolare in una fase storica in cui le relazioni sociali caratterizzate da tensioni “rischiano di sgretolarsi” a causa del percorso intrapreso dalla crisi interna e dal blocco delle istituzioni. In sostanza il capo della Chiesa maronita ha esortato tutte le parti in causa a rimandare a un secondo momento il regolamento dei conti politici interni e, al contrario, di concentrare i discorsi e gli sforzi sul “rafforzamento del senso di appartenenza di tutte le comunità in Libano”.
L’unica dissonanza rispetto a questa parola d’ordine è venuta dal versante sciita: lo sceicco Ali el-Khatib ha infatti tenuto un discorso ambiguo, nel quale ha salutato - esaltandola - la resistenza e giustificando la sua esistenza col fatto che “è lo Stato che ha abbandonato la sua sovranità per decenni e si è dimostrato incapace di difendere il suo popolo (...)”. Il vice-presidente del Consiglio superiore sciita ha anche chiesto l’elezione di un presidente “consensuale”, termine che risulta problematico nel Paese dei cedri, in cui risulta essere sinonimo di accomodamenti e accordi politici incompatibili con la sovranità.
Attraverso questo discorso, è emerso chiaramente come la comunità sciita continui a voler dare legittimità a una resistenza parallela alle forze armate libanesi [avviata e alimentata da Hezbollah] e al di fuori del suo comando. È la stessa entità che ha fatto precipitare il Libano nella crisi attuale, decidendo unilateralmente l’8 ottobre 2023, il giorno dopo il lancio dell’Operazione “Al-Aqsa Flood” da parte di Hamas, di sostenere i combattimenti a Gaza con una guerra “a bassa intensità”.
Va notato che il mufti jafarita Ahmad Kabalan, portavoce non ufficiale di Hezbollah e potenziale successore dello sceicco Ali el-Khatib, era parte della delegazione del Consiglio supremo sciita intervenuto a Bkerké. Nel suo discorso di apertura, lo sceicco druso Akl ha citato san Giovanni Paolo II. “Che ne è del Libano come messaggio?” ha esclamato, riferendosi a una proposta in cui Papa Wojtyla descriveva il Paese dei cedri come “un modello di pluralismo per l’Oriente e l’Occidente”. Questa frase, che include il concetto chiave di pluralismo e che compariva nella bozza preparatoria del comunicato finale, è stata omessa dallo stesso nell’ultima e definitiva stesura.
Piena attuazione della risoluzione 1701
Dopo gli interventi, il vertice ha auspicato “la piena attuazione della risoluzione 1701, in particolare per quanto riguarda il sostegno all’esercito e il suo dispiegamento a sud del fiume Litani”. Ha inoltre chiesto “l’elezione immediata di un presidente in conformità con le disposizioni della Costituzione, che goda della fiducia di tutti i libanesi, della più ampia comprensione e del massimo consenso”. Nel ringraziare le comunità che hanno accolto gli sfollati, il comunicato sottolinea “il rispetto per la proprietà individuale e respinge qualsiasi forma di invasione della stessa”. Infine, i partecipanti all’incontro interreligioso hanno ringraziato “i Paesi arabi e stranieri [...] per il loro sostegno politico e i loro aiuti materiali, medici e alimentari” e invocato la loro assistenza nella ricostruzione di ciò che continua ad essere sistematicamente distrutto dall’esercito israeliano. Il comunicato si conclude con un appello alla pace, ricordando che la causa palestinese è la causa centrale di tutto il mondo arabo.