13/09/2024, 10.57
LIBANO - VATICANO
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Beirut: la traslazione del patriarca Aghagianian fra speranze di pace e riconciliazione

di Fady Noun

Migliaia di fedeli, personalità ecclesiastiche e politiche hanno assistito all’arrivo delle spoglie del cardinale, ora sepolto nella cattedrale di Sant’Elia e San Gregorio l’Illuminatore. L’attesa per il completamento del processo di beatificazione. Dal premier Mikati l’auspicio che attraverso la sua intercessione il Paese dei cedri superi la crisi politica e istituzionale. 

Beirut (AsiaNews) - Davanti agli sguardi stupefatti e increduli di diverse migliaia di libanesi della comunità armena, riuniti in piazza dei Martiri in centro a Beirut, e di molte personalità civili e religiose, il patriarca armeno cattolico Raphaël Bedros XXI Minassian ha mostrato questo “prodigio della santità”. Il corpo ancora preservato, pur senza il rito dell’imbalsamazione, del predecessore e cardinale Grégoire Pierre XXV Aghagianian (1895-1971). Fra le autorità governative ed ecclesiastiche presenti nella serata di ieri il primo ministro libanese ad interim Nagib Mikati e il patriarca maronita, il card. Beshara Raï.

Trasportato direttamente dall’aeroporto internazionale Rafic Hariri verso piazza dei Martiri, portato da uomini in rappresentanza di tutte le confessioni, il catafalco chiuso da una teca in vetro dentro il quale riposano le spoglie del patriarca ha attraversato il corridoio centrale. Ai lati, lunghe file di sedie gremite di fedeli, in mezzo a nuvole di incenso e coriandoli. Esposto durante la cerimonia al centro di una riproduzione in stucco del portale d’ingresso del convento di Bzommar, sede del patriarcato armeno-cattolico in Libano, il corpo è stato trasferito alla fine della funzione nella cattedrale di Sant’Elia e San Gregorio l’Illuminatore, poco distante. 

Al momento non sono previste altre cerimonie di esposizione pubblica della salma, in attesa che il processo di beatificazione si concluda in modo favorevole. Ad oggi il defunto cardinale è considerato “semplicemente” un venerabile, o servo di Dio, in virtù dell’iter canonico aperto a Roma nel 2022, un titolo che attesa in ogni caso le “virtù eroiche” dell’uomo.

La traslazione ha avuto luogo dietro espressa richiesta dello stesso card. Aghagianian, quando era ancora in vita. Nato in Georgia nel 1895, egli ha studiato sin da giovanissimo a Roma mostrandosi allievo brillante. Nel tempo ha saputo scalare la gerarchia ecclesiastica, pur senza mai dimenticare le origini armene e senza poter più tornare nella patria nativa, diventata nel frattempo Repubblica sovietica. Naturalizzato libanese all’indipendenza nel 1943, mentre era già stato eletto patriarca degli armeno-cattolici, fra le ultime volontà espresse in vita vi è stata quella di essere sepolto in terra libanese, a Bzommar. Il porporato ha guidato la chiesa armeno-cattolica fra il 1937 e il 1962, prima di affidarla a mani più libere per dedicarsi ai preparativi del Concilio Vaticano II.

Pur non essendo previste altre esposizioni, il patriarca Minassian ha disposto che la tomba sia accessibile ai fedeli, dopo essersi speso in prima persona per l’esumazione dal precedente luogo di sepoltura, una cripta nella chiesa armena di san Nicola da Tolentino, a Roma. Perché da giovane seminarista egli stesso aveva vegliato il cardinale defunto, assistendo a un fenomeno misterioso: del sudore traspirava dal corpo privo di vita, ma i suoi superiori dell’epoca gli avevano imposto di ignorare. In silenzio, l’attuale capo della Chiesa armena ha portato dentro di sé il segreto, pensando che si trattasse di un segno di Dio, come confermato dall’esumazione nel 2022, in vista della causa di beatificazione, con le spoglie ancora intatte segno di santità. Molti gli incarichi ricoperti dal patriarca sotto i pontificati di Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, fra i quali la guida del dicastero per l’Evangelizzazione dei popoli (Propaganda fide) fra il 1958 e il 1970, oltre a quella di moderatore durante il Concilio. A lui si devono anche molte scuole, chiese, orfanotrofi e dispensari.

Il “piccolo gregge” sfuggito al genocidio

Anch’egli era parte del “piccolo gregge” scampato al genocidio armeno del 1915 e aveva scelto proprio il Libano come seconda patria. Una nazione, come emerso anche dalle parole del patriarca Minassian, che resta terra di santità, di incontro islamo-cristiano, un “messaggio di pluralismo” per Oriente e Occidente come diceva san Giovanni Paolo II, nonostante le difficoltà. “Tutti i libanesi - ha affermato il premier ad interim Mikati - sperano che con l’arrivo delle spoglie mortali del patriarca Aghagianian, una fumata bianca si alzi da questa regione per annunciare la buona notizia dell’elezione di un nuovo presidente della Repubblica”. 

È dalla cattedrale di Sant’Elia e San Gregorio l’Illuminatore e da più in alto, come Teresa di Lisieux che ha promesso di “passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra” che il card. Aghagianian aiuterà quanti si affideranno alla sua intercessione. Lo aveva promesso a coloro i quali si erano recati al suo capezzale negli ultimi giorni di vita, dopo aver perso la vista. “Ora non posso fare più nulla per voi” diceva. “Ma se Dio vuole, potrò farlo dopo la morte”. “Prima di esalare l’ultimo respiro” ha terminato con un aneddoto il patriarca Minassian, il cardinale ha pronunciato le parole “ho sete, come aveva fatto il suo Maestro [Gesù] sulla croce. E quando ha visto il bicchiere d’acqua che gli veniva portato, egli ha risposto: ‘Ho sete della tua santità’. Questa - conclude - è stata anche la sua ultima raccomandazione”.

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