Beirut terreno di scontro nella lotta di potere fra Iran e Arabia Saudita
Sauditi, Emirati, Kuwait e Bahrain hanno ritirato gli ambasciatori e interrotto le relazioni con il Libano. Dietro la controversia le accuse del ministro libanese dell’Informazione a Riyadh per la guerra nello Yemen. Presidente e primo ministro chiedono le dimissioni di Cordhai. Che può godere della protezione politica di una parte del mondo cristiano (e di Hezbollah). I timori del Vaticano.
Beirut (AsiaNews) - Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (Eau), Kuwait e Bahrain hanno interrotto le relazioni diplomatiche con il Libano, richiamando i rispettivi ambasciatori a Beirut e concesso 48 ore agli ambasciatori accreditati del Libano per lasciare i loro Paesi. Riyadh, prima a prendere l’iniziativa, lo scorso venerdì 29 ottobre ha inoltre deciso di interrompere tutti gli scambi commerciali con il Libano, fra i quali vi sono anche comprese le importazioni di ortaggi e legumi, che rappresentano un elemento di primo piano. Le monarchie del Golfo coinvolte nella controversia sono arrivate al punto di chiedere ai loro cittadini in Libano di tornare a casa. Tuttavia, l’Arabia Saudita ha anche precisato che la rottura delle relazioni diplomatiche non influenzerà lo status dei libanesi che lavorano nel regno wahhabita, circa 140mila, e i cui transfert monetari mensili sono essenziali per il Paese dei cedri in questa fase di grave crisi economica.
La crisi diplomatica senza precedenti avviene in seguito alle affermazioni fatte dal ministro libanese dell’Informazione Georges Cordahi, il quale ha criticato l’intervento dell’Arabia Saudita nella guerra in Yemen. Durante una trasmissione televisiva risalente al 5 agosto scorso, e dunque precedente alla sua nomina alla guida del dicastero (10 settembre), Cordahi ha definito “assurda” la continuazione della guerra nello Yemen, che vede opposti dal 2014 il governo riconosciuto dalla comunità internazionale (filo-saudita) contro i ribelli sciiti Houthi, vicini all’Iran. Egli si era spinto ad affermare che gli insorti non facevano altro che difendersi “di fronte all’aggressione esterna”.
Il capo dello Stato Michel Aoun il primo ministro Nagib Mikati si sono smarcati, invano, dalle affermazioni del ministro dell’Informazione. Mikati ha detto di essere “profondamente dispiaciuto” per la decisione di Riyadh, affermando che le parole del ministro dell’Informazione “non riflettono in alcun modo la posizione del governo”. Egli ha poi rivolto un tacito invito, in almeno due occasioni, a Cordahi perché presenti le dimissioni. Tuttavia, potendo contare sul sostegno del piccolo partito cristiano Marada (pro-siriano) e di Hezbollah, quest’ultimo si è rifiutato in modo categorico di farlo. Sostenendo che i suoi commenti riflettono la sua “opinione personale”, si è anche rifiutato di scusarsi.
Per gli esperti la crisi va persino oltre le parole del ministro e riflettono la lotta di potere in atto fra l’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita, alla quale il Libano stesso è costretto a pagare un pesantissimo dazio. “Non vi è alcuna crisi col Libano, ma è in atto una crisi in Libano” ha dichiarato il ministro saudita degli Esteri Fayçal ben Farhan alla catena satellitare televisiva al-Arabiya. Alla Cnbc, egli ha poi precisato che “trattare col Libano e con il suo attuale governo non è né produttivo, né utile, a causa del dominio costante di Hezbollah sulla scena politica”. L’Arabia Saudita accusa inoltre Hezbollah di sfruttare il Libano come hub per inondare il regno di pillole di captagon e indebolire la sua resistenza interiore.
Presente al summit dedicato ai cambiamenti climatici (Cop26) in corso a Glasgow, il primo ministro Mikati è entrato in contatto con dirigenti arabi e occidentali, per perorare la causa del Libano. Fra questi dirigenti vi sono il presidente francese Emmanuel Macron e il segretario di Stato Usa Anthony Blinken. Il capo dello Stato francese ha espresso l’importanza per Parigi di una “stabilità economica e politica del libano”. Difatti, né la Francia né gli Stati Uniti vogliono le dimissioni o la paralisi di un governo nato dopo tanti mesi di sforzi e garante essenziale - con l’esercito - di stabilità, in una nazione altrimenti al collasso.
Washington avrebbe deciso di mediare tra Arabia Saudita e Libano. Il suo intervento, così come quello della Francia, è tanto più vitale poiché il regno wahhabita e i suoi vicini del Golfo sono considerati i principali donatori su cui i partner del Libano fanno affidamento per portare una boccata di ossigeno al governo.
Da parte sua, secondo l’agenzia Lebanon debate il Vaticano ha deciso di inviare il card. Pietro Parolin a Beirut, nel tentativo di comprendere meglio la posta in gioco nella crisi e il ruolo centrale ricoperto dal patriarca maronita, Beshara Raï, nel tentativo di placare le acque.
16/11/2017 09:02
15/11/2017 09:03