30/09/2022, 11.09
LIBANO
Invia ad un amico

Beirut, un Parlamento diviso costretto all’intesa sul presidente della Repubblica

di Fady Noun

Ieri, con ampio ritardo, si è tenuta la prima votazione per la scelta del successore di Aoun. Un passaggio che ha sancito le spaccature (su Hezbollah) e spinto il presidente della Camera a forzare la mano verso un accordo. Il rischio di stallo e la doppia vacanza governativa e presidenziale. Le pressioni della comunità internazionale.

Beirut (AsiaNews) - “Se volete che questo Parlamento e anche il Libano, continuino a esistere, dovete trovare un’intesa!”. Con queste parole il presidente della Camera, lo sciita Nabih Berry, ha concluso la votazione di ieri dedicata all’elezione del nuovo presidente della Repubblica, chiamato a succedere a Michel Aoun, il cui mandato scade il 31 ottobre. Berry ha aggiunto che intende fissare la data della prossima sessione di voto in funzione dei progressi che verranno compiuti riguardo proprio a questa intesa fra le parti. 

Convocato con ampio ritardo, alla fine del primo dei due mesi (settembre e ottobre) previsti dalla Costituzione, il Parlamento ha fallito, in occasione della prima tornata di votazioni, a eleggere il nuovo capo dello Stato. Il fallimento era atteso, vista la composizione della Camera, divisa in due parti attorno al tema delle armi a Hezbollah, annosa fonte di scontro. Nessuno dei due settori possiede una maggioranza assoluta di voti (la metà più uno, ovvero 65), e ancor meno i due terzi dei seggi necessari per eleggere un candidato al primo turno (86 voti).

Di 122 su 128 deputati che compongono la Camera presenti al voto (sei le assenze), 63 hanno lasciato scheda bianca: si tratta di quelli del tandem sciita (Amal e Hezbollah), del Cpl di Gebran Bassil e di alcuni indipendenti e loro alleati. Di contro, il fronte sovranista ostile alle armi a Hezbollah (il cui nucleo è formato dalle Forze libanesi, dal partito Kataëb e dal blocco druso di Walid Joumblatt) ha votato a favore di Michel Moawad, figlio dell’ex presidente René Moawad assassinato nel 1989, il quale ha ottenuto 36 voti. I deputati della “contestazione” (in rappresentanza del movimento di protesta dell’ottobre 2019) hanno virato senza spiegazioni su Sélim Eddé (13 voti), brillante uomo d’affari che non è però candidato, dopo essersi visti rifiutare la nomina del giurista ed ex deputato Salah Honein.

Sparigliato dal ritiro del suo leader Saad Hariri dalla vita politica, a inizio anno, il campo sunnita è riuscito all’ultimo a formare un gruppo di una decina di deputati i quali hanno scritto sulle loro schede elettorali una sola parola: Libano.

Nel campo delle “schede bianche”, i deputati sciiti favorevoli in linea di principio alla candidatura del leader nordista Sleiman Frangié non potevano esprimere la preferenza in suo favore senza essere abbandonati alla loro sorte dal presidente del Cpl Bassil, rivale di Frangié.  Senza rappresentanti di peso delle comunità sunnite e druse, questo campo non può sperare di far eleggere un capo di Stato figlio di una “intesa”. Lo stesso ragionamento vale anche per il campo sovranista, privo di personalità autorevoli delle comunità sunnita e sciita. Come sottolinea Berry, entrambe le parti sono condannate ad andare d’accordo e trovare un’intesa, perché ciascuna delle due dispone dell’arma del quorum per impedire all’altra di vincere le elezioni ed eleggere un proprio candidato.

Questa “prima votazione” ha convinto i deputati presenti in aula della necessità assoluta di un confronto fra le parti, a fronte del pericolo di ritrovarsi di nuovo per mesi senza presidente della Repubblica alla scadenza del mandato di Aoun a fine ottobre. Una replica di quanto era già successo nel 2016, quando il Paese dei cedri è rimasto senza capo dello Stato per oltre due anni.

E questo accordo è tanto più necessario visto che anche la nazione si trova a vivere una impasse politica riguardo alla formazione di un nuovo governo, a causa di un profondo disaccordo sulla questione fra lo stesso presidente Aoun e il primo ministro dimissionario Nagib Mikati. L’articolo 75 della Costituzione prevede che, in caso di vacanza presidenziale, le prerogative del capo dello Stato siano assunte in via provvisoria dal Consiglio dei ministri. Tuttavia, Aoun si rifiuta di trasmettere le sue prerogative a un governo dimissionario e minaccia di non lasciare il palazzo presidenziale se non viene formato un nuovo governo favorevole al proprio campo di appartenenza.

Per scongiurare al Libano una prospettiva distruttrice determinata da una doppia vacanza a livello governativo e presidenziale, Francia, Arabia Saudita e Stati Uniti hanno pubblicato, la scorsa settimana, una dichiarazione congiunta che esorta i deputati a “eleggere un presidente che possa unire il popolo libanese”. Una unità tanto più indispensabile in quanto il Paese è in crisi economica, con sofferenze e tensioni a livello sociale. Il Fondo monetario internazionale ha condizionato un aiuto di circa tre miliardi di euro all’attuazione di riforme legate al buon funzionamento delle istituzioni.

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
I vescovi invitano il Parlamento a salvare il Libano, eleggendo un presidente
08/11/2007
Inizia oggi il difficile cammino per la scelta del nuovo presidente della Repubblica libanese
23/04/2014
Preoccupati i vescovi maroniti: “c’è disaccordo su tutto”
07/02/2008
Tredicesimo rinvio per l’elezione del presidente libanese
21/01/2008
Un barlume di speranza a Beirut: Moussa fa incontrare Hariri ed Aoun
18/01/2008


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”