Beirut, leader islamo-cristiani in campo per promuovere la donazione di organi
Personalità cristiane, musulmane e druse hanno sottoscritto la “carta del donatore”. Una battaglia (anche) culturale, contro l’opinione diffusa fra i fedeli che donare sia contrario alla fede. I leader religiosi incoraggiano un gesto “nobile” e “umanitario”, che deve essere fatto in modo “volontario, disinteressato, gratuito”.
Beirut (AsiaNews/Olj) - Per sensibilizzare i cittadini in materia, un gruppo di leader religiosi libanesi - in rappresentanza di comunità diverse - ha sottoscritto la cosiddetta “carta del donatore”, nell’ambito di un progetto che vuole rimuovere preconcetti e ostacoli alla donazione di organi. Quella dei giorni scorsi non è solo una iniziativa simbolica, ma intende scardinare una tradizione che ha radici ben profonde nella cultura e nella società locale. Difatti, gran parte dell’opinione pubblica è convinta che questo gesto di altruismo sia in realtà contrario ai precetti della fede. Ed è proprio questo il nodo irrisolto contro il quale lotta da tempo il Comitato nazionale per la donazione e il trapianto di organi e tessuti (Nord Liban).
La firma della carta del donatore si è svolta alla presenza del ministro della Sanità Waël Bou Faour, p. Edgard Haïby, segretario generale della Commissione episcopale per la pastorale dei servizi sanitari (Apecl) e rappresentante del patriarca maronita, personalità musulmane sciite e sunnite. Tutti i presenti hanno sottoscritto il documento, con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione e, in particolare, ciascuno la propria comunità di provenienza.
Oltre ai leader religiosi, alla cerimonia hanno aderito anche personalità libanesi dello spettacolo, della cultura e delle arti. Fra queste gli attori Nada Abou Farhat, Bernadette Hodeib e Charbel Ziadé, che già in passato avevano prestato il loro volto per campagne mirate alla donazione degli organi, all’insegna dell’hastah #sayitnow (dillo ora). Una iniziativa che incentivava i donatori a rendere partecipi i familiari della loro scelta.
Nei loro interventi, i leader religiosi musulmani, cristiani e drusi hanno sottolineato che nessuna di queste fedi è contraria alla donazione e al trapianto. Anzi, esse incoraggiano il gesto a patto che sia “volontario, disinteressato, gratuito” e “non soggetto a costrizione affettiva, psicologica, materiale”.
I firmatari della carta hanno sottolineato il valore di un gesto “nobile” e “umanitario”, che costituisce una delle massime “forme di carità” al mondo. Unico appunto: la morte celebrare della persona cui vanno espiantati gli organi, che deve essere stabilita da un medico secondo un protocollo prestabilito.
Farida Younan, coordinatrice nazionale Nod Liban, ha sottolineato gli ostacoli che si frappongono alla donazione e ha auspicato un intervento del governo, perché sostenga il programma nazionale e stanzi nuovi fondi. Interpellato da L’Orient-Le Jour (Loj) Antoine Stéphan, vice-presidente Nod Liban, aggiunge che “questa iniziativa è la riprova che le religioni non si oppongono alla donazione di organi”, un elemento “poco chiaro” per molti fedeli. “Ora l’obiettivo - conclude - è far arrivare questo messaggio a tutta la popolazione” visto che nel Paese ci sono 430 pazienti che aspettano da tempo un organo per poter sopravvivere.
Le popolazioni mediorientali e asiatiche - in genere - sono restie alla donazione di sangue, organi o del proprio corpo per la ricerca scientifica o per salvare vite umane. Negli ultimi anni si registra però una maggiore sensibilizzazione, anche grazie all'opera di personalità di primo piano del continente. Fra i cattolici emerge la figura del compianto card Stephen Kim Sou-hwan, a lungo arcivescovo di Seoul (Corea del Sud) e pioniere in materia.