04/11/2022, 12.51
LIBANO
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Beirut, le incognite del dopo Aoun e un governo dimissionario per affari correnti

di Fady Noun

Dal primo novembre vacanti le massime cariche istituzionali, pericolo sbandierato da mesi che si è concretizzato. Prevista una seduta settimanale del Parlamento per cercare di eleggere il nuovo presidente. Ma i blocchi contrapposti affossano ogni tentativo. Il patriarca maronita invoca una conferenza internazionale in Libano sotto l’egida Onu. Esercito garante della stabilità. 

Beirut (AsiaNews) - Quanto si temeva potesse accadere da mesi in Libano, è diventato ormai una tragica realtà. Dal primo novembre il Paese si trova in una situazione sul piano costituzionale e politico di vacanza delle più alte cariche: è senza presidente, poiché il Parlamento non ha saputo eleggere il successore di Michel Aoun, il cui mandato si è concluso la sera del 31 ottobre; e il governo alla guida del Paese è dimissionario dalla proclamazione dei risultati delle elezioni politiche del maggio scorso e può occuparsi solo degli affari correnti. Ecco dunque che il post-Aoun si profila come un periodo di potenziale instabilità, in una cornice nazionale in cui non sembra poter emergere a breve alcuna maggioranza parlamentare e il compromesso fra le parti appare sempre più difficile da realizzare. 

Il Parlamento, riunito in via eccezionale per esaminare una lettera di Aoun diffusa poche ore prima di lasciare il palazzo presidenziale a Baabda, in cui chiede di ritornare sulla decisione di confermare l’incarico a Nagib Mikati, non ha voluto seguire le indicazioni del capo dello Stato. La Camera ha inoltre deciso, in nome del principio di continuità degli uffici pubblici che il governo uscente presieduto da un sunnita possa proseguire nella gestione degli affari correnti, pure in mancanza di un capo dello Stato, per tradizione un maronita. Tuttavia, il Parlamento ha chiarito che il governo non può andare oltre le proprie funzioni e può riunirsi, in via eccezionale, solo in caso di emergenza nazionale e dopo aver consultato e ricevuto il via libera delle componenti politiche. Una disposizione, quest’ultima, che dovrebbe placare le tensioni confessionali emerse tra il primo ministro Nagib Mikati e il Movimento patriottico libero (Cpl) fondato dal capo dello Stato uscente e presieduto dal genero Gebran Bassil.

Rispondendo, dopo il Parlamento, al capo dello Stato che aveva “accolto le dimissioni” alla vigilia della scadenza del mandato presidenziale, nonostante una precedente promessa di segno opposto, Mikati ha dichiarato che il decreto presidenziale era superfluo perché l’esecutivo era già dimissionario dal voto di maggio. E ha precisato che si occuperà degli affari correnti “in conformità ai doveri imposti dalla Costituzione”, perché venendo meno il governo uscente si esporrebbe a gravi “sanzioni costituzionali”. 

Intervenendo a conclusione della sessione, il presidente della Commissione di giustizia Georges Adwan (Forze libanesi) ha affermato che il governo uscente può proseguire nella gestione degli affari correnti “nel senso stretto della parola”, ma senza riunirsi perché le prerogative presidenziali passano al Consiglio dei ministri riunito in seduta comune ma, di norma, un esecutivo dimissionario non si riunisce. E Mikati ha sottoscritto esplicitamente questa riserva. Intanto il presidente della Camera Nabih Berry ha detto che convocherà con cadenza settimanale i deputati per l’elezione di un nuovo capo dello Stato a partire dal 10 novembre, dando loro tempo di riunirsi e discutere fra due sedute di voto. Egli è poi tornato a invocare un compromesso politico che sbloccherebbe l’elezione del presidente. 

I due grandi schieramenti, il Cpl-tandem sciita da un lato e quello delle Forze libanesi-Psp dall’altro hanno la possibilità di impedire il raggiungimento del quorum necessario per l’elezione del capo dello Stato, 86 deputati pari ai due terzi della Camera. A inizio sessione due gruppi parlamentari, Kataëb e quelli vicini ai gruppi di contestazione, hanno attaccato la validità stessa della riunione convocata dal presidente della Camera per esaminare il messaggio del capo dello Stato. Invocando l’art. 75 della Costituzione, essi affermano che dal 31 ottobre il Parlamento è diventato un collegio elettorale e, di conseguenza, il compito unico ed esclusivo è di riunirsi “solo” per eleggere un presidente. Una posizione condivisa da due personalità di alto profilo dell’Assemblea: il deputato sunnita Achraf Rifi (indipendenti/Tripoli) e il candidato alla presidenza Michel Moawad (indipendenti/Zghorta). 

Il patriarca maronita card. Beshara Raï prima di partire per il Forum interreligioso in Bahrain che vede la partecipazione di papa Francesco ha diffuso una dichiarazione in cui invoca l’organizzazione di una conferenza internazionale in Libano, ma sotto l’egida Onu. L’obiettivo è di smussare tutti gli elementi di dissenso e giungere a una posizione comune. Di contro, il comandante dell’esercito gen. Joseph Aoun (senza alcun legame di parentela con l’ex presidente) ha ribadito davanti agli ufficiali riuniti in sua presenza che le Forze armate reprimeranno con forza ogni minimo attentato alla sicurezza interna, in una fase così delicata della storia del Paese. 

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