02/01/2025, 10.43
LIBANO - ISRAELE
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Beirut, presidenziali e ritiro delle forze israeliane: le sfide del 2025

di Fady Noun

In un clima di relativa stabilità il Parlamento libanese si prepara a riunirsi il 9 gennaio con all'ordine del giorno l'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Un quadro che resta fragile, vista la determinazione di Hezbollah nel riorganizzare le forze, l’influenza iraniana e le truppe israeliane tuttora presenti. Elementi che minano le istituzioni, la sicurezza dei confini e la ripresa economica. 

Beirut (AsiaNews) - È in un quadro di relativa stabilità che il Parlamento libanese è pronto a riunirsi, il 9 gennaio prossimo, per eleggere un nuovo presidente della Repubblica dopo due anni e due medi di seggio vacante. La svolta è avvenuta dopo che il 27 novembre è entrata in vigore la tregua tra Israele e Hezbollah, dopo due mesi di guerra aperta. Tuttavia non vi è ancora certezza che la sessione parlamentare avrà successo, anche se il presidente della Camera Nabih Berry ha invitato a partecipare il corpo diplomatico; fra i presenti l’inviato americano Amos Hochstein, artefice della tregua, e l’omologo del presidente francese Emmanuel Macron, Jean-Yves Le Drian.

Il candidato più quotato per essere eletto è l’attuale comandante dell'esercito, il generale Joseph Aoun. Tra gli altri figurano il banchiere Samir Assaf, “paracadutato” dal capo di Stato francese, i deputati Farid Boustany e Neemat Frem e l’ex ministro degli Interni Ziyad Baroud. Il gen. Aoun si è appena recato in visita in Arabia Saudita; la tempistica della visita suggerisce che egli abbia il sostegno del regno wahhabita, il che dovrebbe aumentare le sue possibilità di essere eletto, pur non garantendone la certezza assoluta.  

Hezbollah, e il movimento Amal, hanno rinunciato a cercare di imporre la candidatura del leader Sleiman Frangié dopo il crollo del regime del presidente siriano Bashar al-Assad, di cui l’ex parlamentare si considerava “amico” e alleato. Tuttavia, resta possibile che Frangié trasferisca i suoi voti a un altro candidato. Le elezioni devono essere vinte con una maggioranza di 85 preferenze al primo turno e con una maggioranza assoluta di 65 al secondo, in una Camera di 128 deputati. Al momento non vi è alcun candidato che sembra in grado di poter ottenere i numeri necessari, al primo come al secondo turno. Al contempo, uno degli scogli delle precedenti votazioni è stata la mancanza del quorum al primo turno, per impedire l’elezione di un presidente con soli 65 voti.

Questa volta, il presidente della Camera ha assicurato che il blocco di 27 deputati sciiti non si ritirerà dall’aula ed è pronto a partecipare a scrutini successivi fino all’elezione del nuovo capo dello Stato, concedendo ai deputati pause per consultarsi tra una tornata elettorale e l’altra. Con l’avvicinarsi della data del voto, la spaccatura tra le varie componenti dell’Assemblea si fa più dura.

Hezbollah, ancora forte al suo interno, vuole imporre un candidato “di consenso” che gli permetta di continuare a godere dell’autonomia militare. Sul fronte opposto l’obiettivo è di imporre un nuovo presidente forte che costringa il movimento sciita filo-iraniano a rispettare pienamente la Risoluzione 1701 dell’Onu, che prevede il suo disarmo “da sud del fiume Litani”, e non solo a sud di questa linea. È quindi in gioco il futuro del Libano, dopo la catastrofica guerra in cui Hezbollah ha trascinato il Paese dei cedri, costata 21mila fra morti e feriti, 10 miliardi di dollari di danni e la distruzione di 200mila unità abitative.

Senza reagire ufficialmente, questo campo ha tenuto conto di un parere di Massad Boulos, consigliere politico del Medio oriente del presidente Usa eletto Donald Trump; egli avrebbe infatti chiesto di rinviare la data del voto a dopo l’insediamento del nuovo inquilino della Casa Bianca il prossimo 20 gennaio. Da parte sua, il capo della Chiesa maronita il patriarca Beshara Raï insiste affinché le elezioni si svolgano nella data prevista.

Israele nel sud

Il Paese soffre anche del fatto che una trentina di villaggi nel sud del Libano sono ancora off-limits per la popolazione in attesa, in linea di principio, della scadenza del periodo di 60 giorni concesso a Israele per evacuare completamente il territorio. E a Hezbollah per consegnare tutte le sue posizioni all’esercito libanese e alla missione Unifil. Questa scadenza decorre dal cessate il fuoco del 27 novembre scorso, ma è evidente che Israele la stia ignorando procrastinando a tempo indefinito le operazioni di ritiro concordate al momento della tregua. 

Al contempo, lo Stato ebraico non ha ancora chiesto alla popolazione delle regioni settentrionali di rientrare nelle proprie case e ha ufficiosamente indicato che potrebbe rinviare il ritiro dal Libano al prossimo marzo. In realtà, i militari israeliani (Idf) non si fanno scrupolo nell’effettuare incursioni al di fuori del perimetro conquistato, facendo saltare edifici, tunnel e nascondigli di armi; non mancano nemmeno micidiali attacchi con i droni in profondità, per completare ciò che la guerra non gli aveva permesso di fare ed eliminare i combattenti del partito di Dio.

Inoltre, alcune alture strategiche rimangono sotto il controllo dell’Idf. Per gli esperti militari, queste violazioni sono inevitabili fino a quando l’esercito libanese non smantellerà le infrastrutture militari di Hezbollah e non si schiererà in tutta l’area a sud del fiume Litani. Tale smantellamento dipende dalla buona volontà del movimento sciita e dal rafforzamento stesso dell’esercito nazionale, che resta però impotente sugli altri fronti aperti; fra questi, vi sono compresi anche i confini con la nuova Siria, laddove è necessario impedire l’infiltrazione di elementi dell’ex regime siriano che cercano rifugio in Libano, nonché i delicati fronti interni dove possono sorgere discordie.

Per quanto riguarda l’aumento della forza dell’esercito si sa solo che, a partire dal 2025, dovrà accogliere 6mila nuovi soldati, in tre gruppi da 2mila ciascuno, tenendo conto che ogni gruppo richiede tre mesi di addestramento. Ostaggio delle minacce israeliane di colpire “tutto il Libano e non solo Hezbollah” in caso di violazione del cessate il fuoco, il partito filo-iraniano protesta verbalmente, ma non osa reagire militarmente a queste palesi violazioni.

In termini assoluti, e gli israeliani lo sanno, il tempo necessario per aumentare la forza dell’esercito permetterà a Hezbollah di ricostituirsi militarmente, anche se la caduta del regime in Siria lo ha tagliato fuori dalle sue fonti di approvvigionamento terrestri. Secondo l’esperto militare Khalil Hélou, interpellato da AsiaNews, “le rotte marittime [attraverso il Canale di Suez] rimangono un’opzione per le armi e le borse diplomatiche iraniane per i finanziamenti”. Il segretario generale del partito, Naïm Kassem, continua a parlare come se avesse trionfato su Israele, e Teheran non manca di applaudire. Infine il 31 dicembre il ministro francese delle Forze armate Sébastien Lecornu, in visita alla base Unifil di Deir Kifa nel sud, ha sottolineato la necessità di preservare il “fragile” cessate il fuoco in vigore dal 27 novembre e giunto a metà del suo periodo di validità.

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