08/02/2012, 00.00
SIRIA
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Battaglia a Homs. Rivoluzione più “islamica”, cresce la violenza contro i cristiani

Il ministro degli Esteri russo Serghey Lavrov: la sorte di Assad “dovrà essere decisa dai siriani”. Fonti locali di AsiaNews informano sulla crescente violenza da parte degli oppositori del regime verso gli alauiti, i cristiani e chi è sospettato di essere dalla parte del governo.
Damasco (AsiaNews) – A Homs continua la battaglia fra l’esercito e le forze militari ribelli al regime del presidente siriano Bashar al-Assad, all’indomani della visita a Damasco del ministro degli Esteri russo Serghey Lavrov. Assad avrebbe promesso al capo della diplomazia russa di volersi muovere verso una cessazione delle violenze, e in direzione di un dialogo nazionale.

La sorte del presidente Assad ''dovrà essere decisa dai siriani'': così afferma Serghey Lavrov, che definisce ''illogica'' la decisione di alcuni Paesi, Italia compresa, di richiamare gli ambasciatori a Damasco. ''Non credo - ha dichiarato - che il richiamo degli ambasciatori creerà condizioni favorevoli per l'attuazione dell'iniziativa della Lega araba''. Il 4 febbraio Russia e Cina hanno bloccato con il veto nel Consiglio di sicurezza dell’Onu una risoluzione di condanna verso Damasco. Da allora la diplomazia internazionale sta cercando nuove strade per risolvere la crisi siriana, mentre si rincorrono voci e smentite sulla possibilità che gli Stati Uniti stiano cominciando a prendere in considerazione l’ipotesi di un intervento militare.

La situazione interna però sta mostrando i segni di una crescente radicalizzazione confessionale, come testimoniano fonti di AsiaNews che restano anonime per ragioni di sicurezza. Sono voci che narrano di una situazione diversa da quella prevalente nei mass media, e che dimostrano come la violenza sulla popolazione venga esercitata da entrambe le parti in conflitto.

“Sono stati uccisi ad Homs due giovani uomini di Azer, entrambi padri di famiglia. Non dall’esercito. Unica colpa, per guadagnare qualcosa ed anche per aiutare a far fronte alla situazione, andavano al forno a comprare il pane per tutti coloro che avevano troppa paura per uscire di casa. Sono stati infatti uccisi proprio mentre erano al forno. Altri sono stati uccisi solo perché lavoravano nel loro negozio, senza aderire alla paralisi della città voluta dai rivoltosi”.  L’opposizione e anche molti Paesi arabi, e non, chiedono che il regime ritiri i carri armati dalle strade. Riportiamo qui la testimonianza di persone che vivono in Siria: “L’ultima volta che sono tornata da Aleppo, all’inizio di dicembre, perché poi non abbiamo più osato andare in macchina ad Aleppo, sono stati i carri armati che ci hanno consentito il passaggio, schierandosi in due file e creando un corridoio tra gli spari, corridoio in cui tutti, macchine, autobus, ecc. passavamo, vedendo le luci rosse dei colpi esplosi davanti al lunotto…Se non ci fosse l’esercito che controlla, nessuno si muoverebbe sulle autostrade..Questo non significa che non ci siano violenze da parte dell’esercito, ci sono, ci saranno sicuramente, non è questione di essere ingenui”.

A Homs, dicono le fonti di AsiaNews, i cristiani ormai sono nel mirino dei rivoltosi sunniti, come gli alauiti. E i rivoltosi non risparmiano nessuno: a Tartous, per esempio, racconta un cristiano che “il giorno prima i tre nipoti, figli del fratello, erano stati uccisi ad Homs, nella loro officina, semplicemente perché stavano riparando una macchina della polizia”. E la situazione, grave per i cristiani, appare sempre di maggior frattura fra sunniti e alauiti, la confessione di appartenenza degli Assad. I sunniti hanno paura ad attraversare i villaggi alauiti, e viceversa. E ci sono zone in cui le due forze si alternano, generando una situazione di paura costante nella popolazione.

Altre fonti locali, non legate al regime, criticano la rappresentazione della situazione così come viene fornita dai media internazionali. “La nostra visione si fa più chiara a poco a poco: essa scava nel muro inespugnabile della disinformazione. La realtà non è binaria come ce la cantano. E’ complessa. Ci sarà ancora posto per i cristiani siriani nella destabilizzazione che è stata avviata di questa società composita? Il destino della Siria sarà ricalcato su quello dell’Iraq? Non lo sappiamo”. Questo è quanto afferma il sito del Monastero di Saint Jacques le Mutilé, in Siria.

E secondo le religiose, che seguono con attenzione gli sviluppi della situazione, i cristiani di Homs, Hama e Yabroud “sono bene integrati nel tessuto sociale”. Ma c’è un cambiamento: “Il conflitto in corso si è trasformato, da una rivendicazione popolare di libertà e democrazia, in una rivoluzione islamista. Venerdì 20 gennaio lo slogan fatidico è stato pronunciato dai comitati di coordinamento della rivoluzione: “Il popolo vuole dichiarare la Jihad!” Fino ad oggi noi cristiani non siamo stati oggetto di una persecuzione “diretta”. I cristiani erano vittime delle violenze che colpivano tutta la popolazione che partecipa alla vita civile. Oggi sembra che il dato stia cambiando. Come se la tendenza che covava fosse diventata ormai una consegna. Il futuro lo dirà. Resta il fatto che quelle di cui vi portiamo a conoscenza sono aggressioni dal carattere ormai francamente anticristiano”.

Il 25 gennaio Padre Basilios Nassar, curato greco ortodosso del villaggio di Kafarbohom, provincia di Hama, è stato ucciso da alcuni insorti mentre recava aiuto ad un uomo aggredito dagli insorti nella via Jarajima di Hama. Il 24 gennaio il figlio dell’emiro islamista di Yabroud, Khadra, aspettava in strada, insieme ad altri tre uomini armati, il maggiore cristiano Zafer Karam Issa, 30 anni, sposato da un anno, davanti alla sua abitazione. Lo hanno ucciso sparando su di lui un centinaio di colpi d’arma da fuoco che ne hanno crivellato il corpo e sono fuggiti. In settimana, il giovane cristiano Khairo Kassouha, di 24 anni, è stato anche lui ucciso uscendo da casa a Kusayr.

Padre Mayas Abboud, rettore del piccolo seminario dei greci cattolici a Damasco, ci ha raccontato di essere stato contattato ieri dalla vedova del martire Nidal Arbache, un autista di taxi recentemente ucciso dagli insorti. Dalal Louis Arbache gli ha detto al telefono: “Caro padre, qui a Kusayr siamo esposti alla prepotenza degli insorti che qui dettano legge. Noi ci aspettiamo ogni sorta di violenza. Non abbiamo niente e nessuno che ci protegga. La supplico padre, consideri questo come un testamento. Se dovesse capitarmi qualcosa di brutto, le affido mio figlio, si prenda cura di lui. Tutta la nostra famiglia è minacciata dalle bande armate”.

Ci riferiscono anche che André Arbache, marito di Virginie Louis Arbache, è stato sequestrato la settimana scorsa. Non si sa niente di lui. La famiglia teme il peggio.

Sempre a Kusayr, un cugino di padre Louka, curato di Nebek, racconta questo: “Rientravo a Kusayr, quando sono stato controllato dagli insorti ad una rotatoria della città. Mi hanno chiesto i documenti e mi hanno fatto attendere due ore per verificare se il mio nome fosse inserito nelle liste diramate dai comitati di coordinamento della rivoluzione che sono oramai diventati organi pseudo-giudiziari. Se il mio nome fosse stato inserito, sarei stato ucciso sul posto come fanno con gli altri.

A Homs la lista del Governatore si allunga. Vi sono più di 230 cristiani che sono stati abbattuti. Molti sono stati sequestrati. Spesso gli insorti chiedono un riscatto che varia da 20.000 a 40.000 dollari per persona.

In alcuni quartieri misti, come Bab Sbah o Hamidiyeh a Homs, l’80% degli abitanti cristiani sono partiti e si sono stabiliti presso amici o parenti nelle regioni della Valle dei cristiani. I cristiani di Hama e della sua provincia fanno lo stesso. Il fenomeno è progressivo e implacabile.

E’ opportuno ricordare che madre Agnès-Mariam de la Croix, in piena sintonia con la comunità del monastero, ha nelle settimane passate aiutato l’opposizione del villaggio assediato dall’esercito, ottenendo dai militari il rispetto della libertà di movimento della popolazione; avviato un’operazione per la liberazione dei prigionieri di diritto comune detenuti senza processo; accettato che membri dell’opposizione si rifugiassero nel monastero per una riunione segreta, nel corso della quale è stato promosso un manifesto per il dialogo nazionale, che è stato ripreso dal presidente della Repubblica; accettato la richiesta dell’UCIP-Libano di invitare dei giornalisti cattolici. Questo gruppo è stato il primo al mondo ad avere segnalato che la popolazione civile è il bersaglio di una violenza che non proviene solo dal regime. Il fatto di averlo detto ha scatenato gravi accuse contro madre Agnès-Mariam, che non si sono ancora placate. La comunità è fiera di essere perseguitata per avere contribuito a fare luce su questi aspetti tenebrosi delle guerre dell’ombra,e per aver continuato a fornire le vere liste dei veri morti, in contrasto con le false liste di falsi morti divulgate dall’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo. Madre Agnès ha visitato, a rischio della vita, i quartieri dell’opposizione nella città di Homs e nel villaggio di Kusayr. E ha lanciato una campagna di aiuti per le famiglie sinistrate di Homs e Kusayr. Ha ospitato persone e famiglie senza tetto e raccolto bambini abbandonati.
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