Baskin: 'Con Netanyahu Israele paria. Liberare gli ostaggi per sanare ferite'
L’attivista israeliano, mediatore del rilascio del soldato Gilad Shalit per oltre cinque anni nelle mani di Hamas: il premier usa l’antisemitismo per coprire scandali interni e sfrutta la guerra per interesse. Critiche anche per il versante palestinese, chiamato a preparare il terreno per elezioni rimandate troppo a lungo. Sul passo indietro del Qatar: si sfrutti questo passo per forzare la mano e far ripartire la trattativa.
Milano (AsiaNews) - Brandire l’arma dell’antisemitismo per coprire scandali interni, usare cittadini israeliani e stranieri da oltre un anno nelle mani di Hamas per perseguire i propri obiettivi militari e premere sul pedale della guerra, trasformando Israele in uno “Stato paria”. Gershon Baskin, attivista politico israeliano, fondatore di Ipcri (Israel Palestine Creative Regional Initiative) e già editorialista del Jerusalem Post, fra i massimi esperti del conflitto israelo-palestinese, non risparmia accuse durissime all’attuale leadership. Ma non fa sconti nemmeno al fronte palestinese, il cui compito primario dovrebbe essere quello - raggiunta la tregua . di preparare il terreno perché si possano indire elezioni “rimandate si troppo a lungo”. Tuttavia, queste priorità si scontrano con una comunità internazionale “molto debole” che attende di vedere quali saranno i primi passi compiuti da un “imprevedibile” Donald Trump. Da mediatore e protagonista del rilascio del soldato Gilad Shalit, per quasi cinque anni e mezzi nelle mani di Hamas, oltre che parte della delegazione israelo-palestinese ricevuta di recente da papa Francesco, egli sottolinea l’emergenza ostaggi, che dovevano essere “liberi già da tempo”.
Di seguito, la sua intervista ad AsiaNews:
Partiamo da quanto successo di recente ad Amsterdam, con gli scontri fra tifosi israeliani e attivisti locali pro-palestinesi. Il presidente Isaac Herzog e il premier Benjamin Netanyahu hanno parlato di “caccia all’ebreo”, di “pogrom”. Condivide?
Penso che vi siano una serie di questioni diverse che si intrecciano fra loro. Da un lato vi è una crescente risposta antisemita che sta prendendo piede nel mondo, ma ancora di più quanto successo è legato a ciò che Israele sta compiendo a Gaza e in Libano. Eventi che contribuiscono ad alimentare l’ira dei musulmani e degli arabi nel mondo, ma che non è necessariamente diretta agli ebrei quanto piuttosto a Israele [come nazione]. Vi è però il pericolo di considerare allo stesso modo le critiche a Israele col fenomeno dell’antisemitismo, quando si tratta di due elementi ben distinti.
In questo clima di guerra e di crescente radicalizzazione si può - e come - essere critici senza per questo essere tacciati di antisemitismo?
Certamente! Io stesso mantengo una posizione critica verso Israele pur essendo ebreo e non sono certo antisemita. Io mantengo una opinione molto critica rispetto a quanto sta avvenendo, riguardo ai fatti terribili che si stanno consumando. Sono fermamente convinto che Israele stia commettendo crimini di guerra, ma penso che sia altrettanto importante sottolineare che pure Hamas si sta macchiando di crimini di guerra e la stessa Hezbollah ha commesso crimini di guerra.
Resta il fatto che il tema dell’antisemitismo ha grande valore e, per questo, non andrebbe manipolato per scopi politici o bellici.
Chiaro! Penso che sia pericoloso e non rende un bel servizio agli ebrei in tutto il mondo quando [la leadership di] Israele mette sullo stesso piano le critiche che le vengono rivolte con la questione, grave, dell’antisemitismo.
Secondo lei è possibile che il governo abbia “sfruttato” i fatti di Amsterdam per coprire lo scandalo emergente attorno alla controversa vicenda Feldstein e i cosiddetti “Bibi-leaks”, con gli ostaggi israeliani “sacrificati” sull’altare della guerra?
Penso che sia assolutamente possibile, perché siamo al cospetto di un governo - quello di Israele - che usa e manipola i fatti e dà fiato alla macchina della propaganda per spargere veleno e fomentare le divisioni all’interno della società israeliana, e in tutto il mondo. Il governo compie azioni che sono assolutamente inaccettabili, ma al tempo stesso vuole e cerca di deviare l’attenzione dell’opinione pubblica da questi eventi.
Lei cosa ne pensa rispetto alla questione “Bibi-leaks” e al gioco politico - e di guerra - che sembra essersi consumato sulla pelle degli ostaggi?
Netanyahu era a capo del governo il giorno fatidico del 7 ottobre [2023, quando si è consumato l’attacco di Hamas a Israele] ed era il primo responsabile nell’aver foraggiato per anni Hamas, era responsabile per tutto quello che è accaduto da quando è salito al potere. Tuttavia, egli si è sempre rifiutato di assumersi la benché minima responsabilità riguardo agli eventi, si è battuto per impedire la nascita di una commissione di inchiesta sui fatti del 7 ottobre. In una normale democrazia il capo dell’esecutivo il giorno successivo si sarebbe dimesso; tuttavia, l’insistenza di Netanyahu nel restare incollato alla poltrona con i suoi sodali e i fanatici di destra che sostengono il suo governo corrotto, e lo spalleggiano, mostra che è capace di tutto. Non vogliono assumersi alcuna responsabilità, mentre distruggono il Paese, la sua economia, la capacità di Israele di difendersi, i soldati riservisti al servizio da oltre 200 giorni, le vittime fra i militari… tutto questo supera la soglia di tolleranza.
In quest’ottica si inseriscono anche le dichiarazioni di oggi del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che vuole il completo controllo della Cisgiordania entro il 2025.
Certo! Stanno trasformando Israele in uno “Stato paria”, forzando la comunità internazionale e gli stessi amici di Israele a rapportarsi col Paese secondo una modalità che loro stessi non vogliono. Gli amici di Israele in Europa non vogliono trasformarci in un nemico, ma questa è la direzione in cui ci sta portando la leadership. In questo quadro vi è una predominanza della visione “messianica” degli eventi, la stessa che considera il 7 ottobre un “miracolo” in qualche modo ispirato da Dio per poter perseguire le politiche di controllo e di dominio di Israele, cacciare i palestinesi e conquistare tutta la terra. Sono folli, ma credono di agire in nome di Dio.
In passato lei ha ricoperto un ruolo di primissimo piano nella liberazione del soldato Gilad Shalit: oggi ritiene che vi siano margini per negoziare il rilascio degli ostaggi di Hamas?
La sorte degli ostaggi [israeliani e stranieri] tuttora rinchiusi a Gaza è secondaria per il governo israeliano in questo momento e per lo stesso Netanyahu, che se avesse voluto davvero riportarli a casa avrebbe potuto farlo molto tempo fa. Il prezzo dovrebbe essere il ritiro dell’esercito da Gaza, ma il premier si rifiuta di compiere questo passo. E anche la guerra in Libano finirebbe come diretta conseguenza del blocco del conflitto nella Striscia.
Sul fronte opposto Hamas sembra aver aperto a una presenza, e alla collaborazione, con Fatah nella Striscia. Questo può rappresentare un passo positivo?
No, non credo. Si tratta di una scelta tardiva. Penso che Mahmoud Abbas non può andare a Gaza, così come l’Autorità palestinese. E al tempo stesso Hamas non può continuare a controllare Gaza in alcun modo, anche perché serve un sostegno internazionale per la ricostruzione della Striscia, così come è indispensabile una forza di peace-keeping internazionale nella regione. A Gaza serve un governo che non sia legato né a Fatah, né ad Hamas, una forza terza con i palestinesi che possano indi\care che sia il responsabile. Uno dei compiti primari per il futuro prossimo è portare i palestinesi a scegliere, serve preparare Gaza e la Cisgiordania a elezioni rimandate sin troppo a lungo. Purtroppo in questo momento la comunità internazionale è molto debole, ora dobbiamo attendere e vedere se cambierà qualcosa col ritorno alla presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump. Tutti sembrano nervosi perché non sanno come si comporterà [il prossimo inquilino della casa Bianca], ma è probabile che nemmeno Trump lo sappia ora. Ma di certo quello che serve è un maggiore coinvolgimento internazionale.
Cosa ne pensa del “fattore Trump”?
Che è troppo presto per dirlo e che lo stesso Trump è sin troppo imprevedibile per poter esprimere oggi un’opinione.
Tornando alla società israeliana, vi è una crescente radicalizzazione dopo un anno di guerra?
Non credo che il tema sia la maggiore radicalizzazione della società. Ritengo che sia più divisa, e le persone più ansiose e segnate dal trauma subito. E nell’assenza di un qualsiasi passo positivo nella prospettiva del processo di pace e dei negoziati, l’opinione pubblica si adegua a questa realtà che li circonda. E lo stesso vale per il versante palestinese. Le persone si sono conformate a una narrativa in cui prevale la guerra, al trauma collettivo legato al 7 ottobre. Serve un cambiamento, che deve venire anche dai palestinesi. E per cominciare a guarire dalle ferite, la liberazione degli ostaggi è il primo passo necessario, anche se serviranno decenni oltre a un nuovo governo e a una nuova leadership. Molti giovani in Israele oggi non vedono un futuro qui.
Per quanto riguarda gli “Accordi di Abramo” ci potrà essere una nuova ripresa, fino a mettere allo stesso tavolo Israele e Arabia Saudita?
L’Arabia Saudita è certo la nazione più importante della regione e può usare la sua grande influenza in un modo più determinato e determinante che in passato, ma bisogna anche qui vedere come si muoverà tenendo conto della nuova leadership negli Stati Uniti [con Trump].Va anche detto che il 70% dei sauditi hanno meno di 30 anni e grazie ai social vedono quanto accade, la realtà di Gaza, ed è anche per questo che nell’incontro [di ieri fra nazioni arabe] Muhammad bin Salman si è trovato in qualche modo costretto a usare la parola “genocidio” per la Striscia.
Infine il Qatar, che sembra aver ritirato il proprio sostegno di lungo corso ad Hamas…
Questo è un elemento interessante, per la decisione in sé e per i tempi in cui è maturata. Andrebbe sfruttata per “forzare la mano” [guardando anche al ruolo dell’Egitto] e riportare le parti al tavolo dei negoziati, far ripartire trattative che non si sono mai fermate, ma dimostrando maggiore serietà.
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21/05/2024 09:38