Bangladesh, Alta corte: Non si può imporre il velo alle donne
di William Gomes
I giudici hanno stabilito che negli uffici pubblici la copertura del capo “è una scelta personale delle donne”. La sentenza originata da una controversia fra un funzionario locale e la direttrice di una scuola, bollata come “prostituta”. Plauso da attivisti per i diritti umani e società civile. Per gli estremisti è una “cospirazione” contro l’islam.
Dhaka (AsiaNews) – Il Ministero dell’istruzione deve garantire che alle donne – impiegate negli istituti pubblici – non venga imposto di indossare il velo o l’hijab “contro il loro volere”. È quanto ha disposto una sezione dell’Alta corte del Bangladesh, in una sentenza emessa ieri e dalla portata storica. Nelle motivazioni, i giudici Syed Mahmud Hossain e Syeda Afsar Jahan hanno stabilito che “è una scelta personale delle donne quella di indossare o meno il velo”. Essi aggiungono che “costringere una donna a indossare il velo contro il suo volere” è considerata una “palese violazione” dei diritti umani di base, “sanciti dalla Costituzione”.
La storica sentenza arriva al termine di una controversia che ha visto contrapposti un funzionario governativo e la direttrice di una scuola elementare, nel distretto di Kurigram, poi rientrata con le scuse dell’uomo. Arif Ahmed avrebbe insultato Sultana Arjuman Huq, direttrice della scuola elementare di Stato Atmaram Bishweshwar, perché non indossava il velo. Il fatto è avvenuto nel giugno scorso, durante un incontro pubblico nella sede del Dipartimento dell’istruzione dell’upazila (un sotto-distretto amministrativo del Bangladesh, ndr) in cui sorge la scuola.
Il 26 giugno 2009 il quotidiano bangladeshi Shamokal riferiva che l’uomo ha dato della “beshya” – prostituta in lingua locale – alla direttrice della scuola, perché non indossava il velo. Sultana Arjuman Huq si è risentita per l’appellativo, in seguito al quale è caduta in stato depressivo. La donna ha infine deciso di sporgere querela per ingiurie. Nel gennaio 2010 Arif Ahmed ha porto le proprie scuse a Sultana Arjuman Huq davanti ai giudici dell’Alta corte, i quali hanno poi archiviato il caso. La donna, infatti, ha deciso di perdonarlo.
L’8 aprile i giudici hanno emesso la sentenza, spiegando le motivazioni che stabiliscono la non obbligatorietà del velo per la donna. “In Bangladesh non esiste – scrivono Syed Mahmud Hossain e Syeda Afsar Jahan – una pratica consolidata che impone alle donne di coprire il capo”. Negli ultimi anni sono emersi tentativi, aggiungono, per “costringere con la forza” le donne a questa pratica “non solo fra privati, ma anche negli uffici pubblici”. Il caso in oggetto, concludono, è una prova delle violazioni dei diritti delle donne e delle ragazze “negli spazi pubblici, scuole, istituti educativi e luoghi di formazione sia pubblici che privati”.
Organizzazioni per i diritti umani e membri della società civile accolgono con favore la sentenza del tribunale, perché è una fonte ulteriore di tutela dei diritti della donna. Tuttavia, alcuni movimenti fondamentalisti islamici hanno attaccato i giudici, bollando la decisione come “una cospirazione volta a distruggere l’islam in Bangladesh”.
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