24/02/2014, 00.00
THAILANDIA
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Bangkok: granata contro manifestanti anti-governativi, la premier lascia la capitale

Ieri un'esplosione ha investito un gruppo di persone, uccidendone due sul colpo. Questa mattina è deceduta anche una bambina per le gravi ferite riportate alla testa, 22 i feriti. Il capo dell’esercito esclude un intervento militare, ma chiede il ripristino della legalità. Appello del Segretario Onu Ban Ki-moon.

Bangkok (AsiaNews/Agenzie) - È salito a tre il bilancio delle vittime di un'esplosione che ha colpito ieri un gruppo di manifestanti anti-governativi; almeno 22 i feriti, fra i quali un bambino di nove anni ricoverato in un reparto di terapia intensiva. Intanto la premier thai Yingluck Shinawatra, bersaglio principale delle proteste delle opposizioni che da mesi interessano Bangkok, ha lasciato la capitale e si è rifugiata in una località sconosciuta distante oltre 100 km. Fonti dell'esecutivo riferiscono che "sta svolgendo i propri compiti" e non è dato sapere per quanti giorni resterà lontana dalla città. È trascorsa quasi una settimana dalla sua ultima apparizione in pubblico; il prossimo 27 febbraio dovrebbe comparire davanti ai magistrati per rispondere alle accuse di corruzione, ma non vi sono conferme ufficiali sulla sua presenza in aula. 

La crisi politica in Thailandia ha subito una nuova deriva violenta nel fine settimana, quando lo scoppio di una granata ha ucciso sul colpo una donna e un bambino di quattro anni. Questa mattina i medici hanno comunicato il decesso della sorella del bambino, investita anche lei dai detriti e morta per le gravissime ferite riportate alla testa. In precedenza, alcuni uomini armati hanno aperto il fuoco contro un altro assembramento di "Camicie gialle" (i manifestanti anti-governativi) nell'est della Thailandia, uccidendo una bambina di cinque anni. Un gesto condannato con forza dalla Primo Ministro che parla di "atti terroristici perpetrati con finalità politiche". 

Secondo fonti del Dipartimento medico di Bangkok, il bilancio totale delle vittime dall'inizio della crisi è di 19 morti e 717 feriti. Sulle violenze nel Paese asiatico è intervenuto anche il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, che ha chiesto una fine immediata della deriva sanguinaria e invitato le autorità di governo a punire i responsabili. "Non c'è posto per le violenze" ha sottolineato in una nota il capo dell'Onu, in un'ottica di confronto e scontro "per la risoluzione delle differenze sul piano politico". 

Questa mattina il capo dell'esercito thai - vero potere forte della nazione - ha confermato di non voler intervenire nella controversia e che non vi sarà un colpo di mano dei militari per risolvere lo stallo politico. Il generale Prayuth Chan-ocha, comandante in capo delle Forze armate, aggiunge che è previsto lo stanziamento di soldati a difesa della popolazione civile. "Qualcuno ha il dovere di intervenire - ha aggiunto - ma questo non significa che i soldati possano farlo al di fuori di un quadro di legalità".

Le manifestazioni degli anti-governativi - un mix di esponenti della classe media, monarchici e abitanti del sud - sono le più imponenti dal 2010, quando il regno è stato sconvolto da una serie di rivolte di piazza concluse con un bagno di sangue e la morte di 90 civili. Obiettivo delle sommossa iniziata nel novembre scorso, le dimissioni del governo guidato dalla premier Yingluck Shinawatra, accusata di essere un "pupazzo" nelle mani del fratello Thaksin, multimiliardario ed ex Primo Ministro, in esilio per sfuggire a una condanna a due anni di carcere. Egli è inviso anche da molti esponenti vicino alla monarchia, che temono voglia attentare al sistema istituzionale del Paese in un momento di particolare fragilità per le precarie condizioni di salute dell'86enne re Bhumibol Adulyadej.  

Il 2 febbraio scorso si sono svolte in gran parte del Paese le elezioni politiche, boicottate dal Partito democratico di opposizione, che hanno sancito la vittoria (scontata) del Pheu Thai Party degli Shinawatra; tuttavia, le consultazioni non sono ancora chiuse perché mancano all'appello alcune province del sud, roccaforte democratica, in cui i seggi non si sono nemmeno aperti. 

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