Bangkok: 43 uiguri a rischio espulsione
Giunti in Thailandia dieci anni fa come prima tappa per raggiungere la Turchia e tenuti da allora in isolamento, sarebbero stati costretti a firmare l'accettazione del rimpatrio in Cina dove il loro popolo subisce una dura repressione nello Xinjiang. Bangkok non aderisce alla Convenzione Onu per i rifugiati.
Bangkok (AsiaNews) - Il governo di Bangkok starebbe preparando l’espulsione di 43 cinesi di etnia uigura da dieci anni nel Paese, ultimi di un gruppo di 300 in parte già rimpatriati, in parti accolti altrove. Le autorità thailandesi l’8 gennaio hanno costretto gli uiguri a firmare l'accettazione all'espulsione. Una mossa che probabilmente guarda all’imminente cambio della guardia a Washington con la possibilità di minori rischi di pressioni o sanzioni, ma anche all'avvicinarsi del mezzo secolo dei rapporti diplomatici fra il regno thailandese e Pechino.
Secondo Angkhana Neelapaijit - attivista, già a capo della Commissione nazionale per i Diritti umani che denunciando la vicenda ha chiesto chiarimenti alla premier Paetongtarn Shinawatra – il provvedimento esporrebbe a ritorsioni queste persone appartenenti all’etnia musulmana un tempo maggioritaria nella provincia occidentale dello Xinjiang, oggi fortemente repressa (con denunce di violenze che arrivano persino all’espianto di organi per trapianto). A loro volta - attraverso le organizzazioni umanitarie che li seguono nel centro di detenzione di Suan Phlu a Bangkok - gli uiguri hanno lanciato un appello per potere espatriare in Paesi terzi o essere riconosciti come richiedenti asilo.
L’influenza cinese gioca sulle necessità della Thailandia alle prese con crescenti difficoltà economiche in un contesto di instabilità politica, contribuendo a lasciare in situazioni precarie quanti si rifugiano nel Paese per sfuggire a persecuzione o guerra.
Un decennio fa, la Thailandia era stata individuata dagli uiguri in fuga dalla repressione come un Paese di transito verso la Turchia con cui condividono fede, tratti culturali e linguistici. Dei 350 uiguri fermati nel marzo 2014 prima di poter passare il confine con la musulmana Malaysia circa 170 - soprattutto donne e bambini - vennero imbarcati su voli verso la Turchia 16 mesi dopo. Altri 109 furono espulsi verso la Repubblica popolare cinese e se ne sono perse le tracce. Tra quelli rimasti in Thailandia e messi sotto custodia dai servizi di immigrazione, una dozzina sono riusciti a fuggire, cinque sono stati condannati a pene detentive per avere tentato la fuga nel 2020 e cinque sono morti in detenzione, tra questi due minori.
La sorte degli altri 43 è stata finora segnata da condizioni al limite della tollerabilità, senza contatti con le famiglie e i loro legali, separati dagli altri detenuti. Anche ai rappresentanti dell’Alto Commissariato Onu per i Diritti umani è stato vietato ogni contatto con loro. Condizioni rese possibili dalla mancata adesione del “Paese del sorriso” alla Convenzione Onu per i rifugiati del 1951 e dalla legge che considera i richiedenti asilo di questa fattispecie come una minaccia per la sicurezza nazionale e quindi non inseribili nel National Screening Mechanism che apre alla possibilità di risiedere in Thailandia sotto certe limitazioni e in attesa di ricollocazione.
Foto: Flick/langkawi