Bangkok, migliaia in preghiera per la pace nel Paese
di Weena Kowitwanij
All’alba cristiani, buddisti, musulmani e indù si sono riuniti in 10 punti della capitale per rinnovare l’appello alla riconciliazione. Analisti spiegano che le divisioni restano profonde e sono necessarie riforme socio-politiche per riportare la coesione nazionale. La resa delle “camicie rosse” non significa la pace.
Bangkok (AsiaNews) – Questa mattina migliaia di cittadini di Bangkok si sono svegliati all’alba, per partecipare a preghiere interreligiose di pace e riconciliazione, organizzate in almeno 10 punti della capitale. Il canto di oltre mille monaci buddisti si è mischiato con litanie di imam musulmani, sacerdoti e leader cristiani, fedeli indù. La metropoli, abitata da circa 15 milioni di persone, nelle scorse settimane è stata teatro della protesta delle “camicie rosse” che ha causato 83 morti e oltre 1900 i feriti.
Tuttavia, diversi esperti di politica thai spiegano che “senza riforme importanti del sistema socio-politico”, troppo legato all’elite finanziaria della capitale, le preghiere e gli inviti alla riconciliazione “non metteranno fine a una polarizzazione della crisi”. La massa rurale che sostiene i rossi – legati all’ex premier in esilio Thaksin Shinawatra – cercherà nuove forme di protesta che avrà ripercussioni per “miliardi di dollari sulll’economia”. Nei giorni scorsi il premier Abhisit Vejjajiva ha rilanciato il piano di riconciliazione, che intende promuovere in parallelo riforme politiche e una maggiore giustizia sociale. Nove settimane di proteste, le più cruente della storia recente del Paese, hanno lasciato il segno ed è poco probabile, aggiungono i politologi, che il piano possa funzionare “senza la partecipazione dell’opposizione”, guidata da Thaksin.
In un editoriale pubblicato sul Bangkok Post Thitinan Pongsudhirak, docente ed esperto di sicurezza in internet, spiega che “sarà difficile raccogliere i cocci degli ultimi due mesi” e “siamo solo all’inizio”. Egli aggiunge che “è stato un errore” lasciare che Thaksin unificasse le diverse anime dell’opposizione e ora è necessario “lavorare con i leader moderati” del movimento. E se, sottolinea, Abhisit è “troppo compromesso” con le violenze degli ultimi giorni, il premier dovrebbe considerare l’ipotesi di “fare un sacrificio personale che dia ad altri la possibilità di intraprendere il cammino di pace”.
Anche il Daily Newspaper conferma che “la resa delle camicie rosse non significa la fine” e non è detto che riporterà la pace nel Paese. “Dobbiamo aspettare – si legge nell’editoriale – ancora a lungo” e il numero dei morti non sembra preoccupare il padrino dei “rossi” – Thaksin Shinawatra – che tempo fa ha detto “Se non sopravvivo, nessun altro sopravvivrà”.
Attraverso AsiaNews leader buddisti vogliono infine rinnovare l’appello alla pace nel Paese. Phra Phaisarn Visalo, monaco nel tempio di Erawan, nella provincia di Chaiyapoom sottolinea che “il Dharma può mettere fine alle violenze basate sulla giustizia sociale”, invitando le persone a “condividere le risorse e aiutando i poveri”. Egli aggiunge che “ci vorrà tempo per la pace”, e per questo bisogna trarre insegnamento dagli errori del passato”. Phramahawuthichai Vachiragaethee, direttore di un istituto buddista, suggerisce di “non peggiorare la situazione, rivendicando ciascuno la ragione e addossando agli altri il torto”. “Nessuno può dire di essere nel giusto o nell’errore – afferma lo studioso – perché ciascuna parte ha i propri errori” ed è più saggio cercare una soluzione “con coscienza e saggezza”.
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