Attivisti: i tamil cattolici hanno il diritto di ricostruire le case sull’isola di Iranaitheevu
Circa 50 famiglie sono accampate nella chiesa in rovina dal 23 aprile scorso. I loro terreni sono stati occupati dal militari durante la guerra civile. Gli sfollati chiedono “aiuto per costruire 200 abitazioni temporanee, mezzi di trasporto per poter andare a prendere acqua potabile in una località che dista tre chilometri. Servono otto cisterne, 50 bagni, lampioni per illuminare la strada, 15 pannelli solari e impianti per mantenere pulite le sorgenti d’acqua”.
Colombo (AsiaNews) – Dopo che è stato concesso loro di tornare sull’isola di Iranaitheevu, ora i tamil cattolici devono avere anche il diritto di ricostruire le proprie case. È quanto sostengono alcuni gruppi di Ong dello Sri Lanka, riunite il 22 maggio a Colombo con rappresentati tamil arrivati apposta per l’occasione. Attivisti del Nafso (National Fisheries Solidarity Movement) e del Pajhn (Praja Abhilasha Joining Hands Network) affermano: “Il governo deve facilitare le risposte alle loro necessità di base, consentendo alle persone di reinsediare nelle proprie terre. Questa è una necessità inevitabile che il governo deve soddisfare”.
L’incontro si è svolto all’International Centre for Ethnic Studies (Ices) della capitale. L’obiettivo dei partecipanti era attirare l’attenzione sulla penosa vicenda dei cattolici tamil, che dal 23 aprile scorso aspettano l’autorizzazione a riprendere possesso dei loro terreni occupati da Marina ed Esercito durante la guerra civile. In quella data 50 famiglie sono sbarcate sulle due isole gemelle di Iranaitheevu, sulla costa nord-ovest dello Sri Lanka (nel distretto di Kilinochchi), da cui erano state sfollate con la forza nel 1992. Il permesso di tornare nella terra d’origine è stato accordato dopo un anno di proteste trascorso in strada. Da aprile donne, bambini e anziani vivono accampati nei locali della vecchia chiesa in rovina in attesa che le autorità accolgano le loro richieste.
Tra i leader tamil arrivati dall’isola, vi erano A. Anthony e Mudiyappu Emmiliampillai. I due hanno parlato delle necessità incombenti dei cattolici sbarcati. “Abbiamo bisogno subito – dichiarano – di aiuto per costruire 200 abitazioni temporanee, di mezzi di trasporto per poter andare a prendere acqua potabile in una località che dista tre chilometri. Servono otto cisterne, 50 bagni, lampioni per illuminare la strada, 15 pannelli solari e impianti per mantenere pulite le sorgenti d’acqua”.
Francis Raajan, coordinatore locale e segretario del Praja Abhilasa Network, afferma ad AsiaNews: “Per queste persone è una vittoria grande e coraggiosa, ma allo stesso tempo faticosa. Dopo tanti sforzi falliti da quando è terminato il conflitto, apprezziamo davvero la continua lotta che hanno portato avanti dal maggio 2017 e poi dal 23 aprile”.
Per Anthony Jesudasan, coordinatore del North-South Peace Dialogue del Nafso, “l’aspetto più critico è che il governo non ha ancora stabilito alcun piano per il processo di reinsediamento. Dovrebbe esserci un meccanismo obbligatorio”. Secondo i presenti, “il governo dovrebbe essere obbligato ad assumersi la responsabilità di ricollocare queste persone. Non basta dare loro il diritto di ricostruire. Dovrebbe fornire almeno alcuni beni essenziali come le tende temporanee, acqua potabile, servizi igienici e cibo. Questi beni devono essere accordati in ogni caso, in modo da consentire ai tamil la possibilità di reinsediarsi ovunque vogliano”. Raajan e Jesudasan evidenziano che “l’evacuazione è avvenuta non per volere o necessità degli sfollati. Pertanto è compito del governo farsi carico della responsabilità di ricollocarli in maniera corretta”. Infine tutti partecipanti si sono impegnati ad organizzare altri incontri simili per far in modo che non si spenga l’attenzione pubblica sulla sofferenza del tamil.