Attivista: il ‘tabù’ israeliano sul nucleare mette in pericolo la salute
Non c’è consapevolezza sui rischi che le centrali nucleari comportano. La prima sicurezza deve essere quella del cittadino. L’impianto di Dimona ha 1.500 malfunzionamenti, ma non si sa né quali, né dove. Sull’Iran si accettano le parole del primo ministro “come dati di fatto, anche se di fatti non ce ne sono”. Serve che la società civile si interessi.
Gerusalemme (AsiaNews) – In Israele, il “tabù” sul nucleare rappresenta un pericolo per il Paese e per la salute dei suoi cittadini. Questa è la denuncia della direttrice del Movimento israeliano per il disarmo, Sharon Dovel. Insieme ad altri, l’attivista anti-nucleare ha presentato una petizione all’Alta corte israeliana per chiedere più trasparenza sul programma israeliano, respinta il 12 settembre.
Nell’istanza, gli autori denunciano che metodi e ruoli di monitoraggio della Commissione israeliana per l’energia atomica (Iaec) non sono mai stati regolamentati per legge sin dalla sua fondazione, nel 1952, ma si basano su un ordine amministrativo segreto emesso dall’allora primo ministro David Ben Gurion. La Corte ha respinto la petizione e motivato la sua decisione sostenendo che l’argomento è “meritevole di dibattitto pubblico”, ma che è una responsabilità della Knesset e non del potere giudiziario. Da parte sua, il governo sostiene che le attività della Commissione sono già sottoposte a sorveglianza.
Intervistata da AsiaNews, Dolev afferma che l’ambiguità e il segreto che avvolgono il nucleare nel Paese ha reso impossibile il controllo degli impianti, mettendo a rischio la salute delle persone.
Un esempio evidente è quello della centrale nucleare di Dimona, attiva dall’inizio degli anni Sessanta: “La Commissione ha detto che ci sono 1.500 malfunzionamenti nel reattore, e i media hanno riportato la notizia così, senza fare domande. Quali sono i problemi? Dove sono? Perché ce lo stanno dicendo solo ora? Hai al tempo stesso un reattore vecchio, che non viene supervisionato, e cittadini che non conoscono i rischi che comportano gli impianti nucleari. Senza sorveglianza possono esserci incidenti non riportati, perdite radioattive, problemi con lo smaltimento delle scorie e così via”.
Proprio la settimana scorsa, il governo ha raggiunto un accordo con 168 ex-lavoratori della centrale di Dimona malati di tumore, riconoscendo a loro e alle loro famiglie un totale di 78 milioni di sheqel israeliani (22 milioni di dollari americani). La battaglia legale fra le due parti andava avanti dal 2013, anno in cui è stato istituito un comitato per decidere se la malattia fosse riconducibile al lavoro in centrale. Lo scorso anno, il comitato ha consigliato il risarcimento pur non riconoscendo il legame.
“Se non se ne parla”, continua Dolev. “Non c’è pressione perché la Iaec metta al primo posto la sicurezza delle persone. Questo oltre le persone danneggia la democrazia, visto che non solo i cittadini, ma anche i media e il parlamento si stanno abituando a non parlare o occuparsi di problemi importanti – nel nome della sicurezza, ci si scorda che la prima sicurezza è quella dei cittadini”.
Tale atteggiamento si conferma quando si tratta dell’Iran: “La maggior parte delle persone in Israele accetta quello che gli viene detto senza porre questioni. A causa dei discorsi del primo ministro [Benjamin Netanyahu] e dei media, in molti sono convinti che l’Iran abbia armi nucleari, o che le avrà, e che le utilizzerà contro Israele. Questo genere di idea non può che essere il prodotto dell’ignoranza. L’Iran non ha armi nucleari, ha firmato un accordo che, anche se non è perfetto, sta funzionando. L’agenzia dell’Onu sostiene che lo stanno rispettando”.
Tuttavia, di recente qualcosa sta cambiando. “Sono molto felice di vedere sempre più persone intenzionate a informarsi”, conclude Dolev. “Per noi è una cosa nuova. L’altra settimana… per la prima volta una radio ha chiesto la mia opinione sull’Iran. Per la prima volta, volevano sentire l’altra parte. È un grande passo avanti”.
Israele è uno dei quattro Paesi detentori di armi nucleari a non aver ratificato l’accordo per la Non-proliferazione, insieme a India, Pakistan e Nord Corea. Nel 1988, un ex-tecnico al Negev Nuclear Research Center di Dimona, Mordechai Vanunu è stato condannato a 18 anni di reclusione con l’accusa di alto tradimento e spionaggio per aver divulgato dettagli sull’impianto e sull’esistenza di arsenale nucleare nel Paese. Al presente è ai domiciliari per aver rilasciato nel 2015 un’intervista a Channel 2.
02/10/2017 11:36
18/01/2018 11:42