Attivista vietnamita condannato a otto anni per post critici contro il governo
Duc Quoc Vuong dovrà scontare anche tre anni di libertà vigilata. Per gli esperti è il verdetto più duro per reati legati ai contenuti in rete. Ed è segno della crescente repressione da parte delle autorità comuniste. Nell’ultimo periodo almeno una dozzina di persone sono finite in cella per reati connessi all’uso dei social.
Hanoi (AsiaNews/Agenzie) - Un tribunale vietnamita ha condannato a otto anni di prigione, cui si sommano altri tre di libertà vigilata, l’attivista pro-democrazia Duc Quoc Vuong, in base a una sentenza definita “troppo pesante” dal proprio avvocato. Secondo i giudici l’attivista, arrestato il 23 settembre dello scorso anno, è colpevole per aver “criticato” il governo e le autorità comuniste dello Stato su Facebook.
Esperti affermano che si tratta del verdetto più duro mai comminato sinora dai giudici per un reato legato a contenuti postati sui social network, in un contesto di crescente repressione da parte della leadership di Hanoi. Nguyen è colpevole di aver “preparato, elaborato, distribuito o disseminato informazioni, documenti e oggetti contrari alla Repubblica socialista del Vietnam”.
Il dibattimento in aula, davanti ai giudici della Corte provinciale di Lam Dong, è durato tre ore concluse con il verdetto di colpevolezza in violazione all’art. 117 del Codice penale.
Secondo quanto riferisce Human Rights Watch (Hrw), durante un video live Nguyen avrebbe detto: “Non sono sicuro che l’intero apparato statale sia corrotto, ma sono convinto al 100% che quelli che sono coinvolti in casi di corruzione sono membri del Partito comunista. Il Vietnam permette la presenza di un solo partito e non prevede la competizione fra opposti”.
Sul suo account, con oltre 10mila follower, egli avrebbe discusso di temi “sensibili” come la confisca dei terreni e vicende legate a prigionieri politici. Egli ha inoltre manifestato sostegno ai dimostranti di Hong Kong contrari alla legge sulla estradizione in Cina e al tentativo di cambio di governo in Venezuela. L’avvocato difensore Nguyen Van Mieng sottolinea che i giudici non hanno spiegato quale dei 366 post o 98 video avrebbe costituito il motivo della condanna. I media ufficiali, fra cui Vietnam News, hanno dato risalto alla vicenda sottolineando che l’attivista avrebbe “ammesso” tutte le violazioni ascritte e che non intendeva “opporsi” allo Stato.
Stime recenti elaborate da Radio Free Asia (Rfa) parlano di almeno una dozzina di casi recenti in cui attivisti o cittadini comuni avrebbero infranto la legge per post pubblicati sui social. Il Vietnam, con una popolazione di 92 milioni di abitanti dei quali 55 milioni usano Facebook, è stato più volte giudicato “non libero” per la censura sistematica su internet e per la repressione del libero pensiero sulla stampa e giornali. Il dissenso non è tollerato dal partito unico comunista al potere e le autorità usano in modo sistematico (e in modo vago) le norme del Codice penale per arrestare e condannare decine, se non centinaia, di blogger, scritto, giornalisti, ambientalisti e attivisti.