25/10/2024, 11.54
TURCHIA - SIRIA - IRAQ
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Attentati e bombe congelano le prospettive di dialogo fra Ankara e Pkk

Alla prospettiva di un intervento di Ocalan in Parlamento, e la ripresa del dialogo col movimento curdo, è seguito l’attacco con morti alla sede aerospaziale nei pressi della capitale. Le autorità puntano il dito contro i ribelli, ma non vi sono rivendicazioni ufficiali. La rappresaglia dell’aviazione con decine di obiettivi - e di morti, anche civili - oltre-confine in Siria e Iraq. 

Istanbul (AsiaNews) - Dalle voci di una ripresa del dialogo in una prospettiva di pacificazione nazionale all’attacco di Ankara e le successive bombe dell’aviazione turca, che hanno colpito postazioni in Siria e Iraq causando decine di morti fra i quali vi sarebbero almeno 12 civili. In pochi giorni l’annoso conflitto fra il governo turco e le milizie ribelli curde del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) ha registrato una ripresa improvvisa, quanto sanguinosa, congelando le prospettive di una fine della lotta armata. 

Il riferimento è alle parole del leader del Pkk Abdullah Ocalan, che davanti a “giuste condizioni” avrebbe aperto alla possibilità di “spostare” la lotta del movimento curdo “dal terreno del conflitto e della violenza” a quello “della legge e della politica”. Le sue parole sono state raccolte da un familiare del nemico interno numero uno - almeno sinora - di Ankara e del presidente Recep Tayyip Erdogan, che proprio in questa prospettiva aveva sottoscritto un “accordo militare e di sicurezza” con Baghdad a metà agosto. 

Ocalan è rinchiuso dal 1999 in una cella nel carcere sull’isola di Imrali, mare di Marmara a sud di Istanbul, per scontare la condanna all’ergastolo; nei giorni scorsi ha ricevuto dopo oltre 40 mesi - l’ultima era del 3 marzo del 2020 - la visita di un parente, Omer Ocalan, che è anche deputato del partito filo-curdo Hdp (Partito democratico dei popoli). A lui ha affidato un messaggio di apertura al dialogo e al confronto col governo turco, in risposta all’inusuale appello lanciato il 21 ottobre scorso dal leader del partito di estrema destra Mhp (Partito del Movimento Nazionalista), e alleato di Erdogan: nel suo intervento Devlet Bahceli ha proposto di invitare Ocalan in Parlamento per dichiarare la fine della lotta armata e indipendentista del Pkk, aggiungendo che egli dovrebbe beneficiare della legge sul “diritto alla speranza” che potrebbe portare alla scarcerazione. 

Fondato nel 1978, il Pkk si è battuto in una prima fase per un Kurdistan indipendente, per poi dirottare la propria lotta a favore di una autonomia. Il gruppo è designato come organizzazione terroristica dalla Turchia e dagli alleati occidentali, a partire dagli Stati Uniti, e da inizio anno lo stesso governo iracheno lo ha inserito nella lista delle organizzazioni vietate. Nel 2010 e, più tardi, nel 2013 l’Akp e il governo hanno avviato colloqui di pace mostrando un’apertura che non ha però portato a vere e proprie trattative di pace. Al contrario, i colloqui sono deragliati definitivamente nel 2015, lasciando spazio a intensi combattimenti nelle aree a sud-est del Paese, oltre a una serie di attentati attribuiti al movimento dalla capitale a Istanbul, con una lunga scia di sangue.

Secondo una fonte diplomatica di AsiaNews, contattata dietro anonimato, le voci di un’apertura fra Ocalan e le massime autorità del Paese, fino a un suo possibile intervento all’assemblea, sono solo “parte di un teatrino politico” e non è possibile ora “prevedere gli sviluppi”. Di contro, restano sul terreno gli attentati e le bombe che colpiscono anche civili oltre-confine. L’ultimo attentato è avvenuto proprio in contemporanea con la visita in carcere di Ocalan e ha colpito una sede dell’Industria aerospaziale (Tusas) in provincia di Ankara, provocando la morte di cinque persone e il ferimento di altre 22. A distanza di qualche giorno l’attentato - perpetrato da due assalitori, un uomo e una donna giunti un taxi nella sede e armati - non è stato ancora rivendicato anche se il governo ha subito puntato il dito contro il Pkk. Il ministro degli Interni Ali Yerlikaya ha dichiarato che due attentatori, una donna e un uomo, sono stati “neutralizzati”, mentre l’aviazione ha risposto colpendo basi del movimento curdo in Siria e Iraq. 

Secondo la ricostruzione, dopo aver ucciso il tassista i due assalitori si sono recati nei locali della società eludendo le guardie all’ingresso, innescando esplosivi e aprendo il fuoco sul personale, uccidendo quattro individui, tra cui un ingegnere meccanico, e provocando 22 feriti. Il Pkk non ha confermato né smentito un coinvolgimento, sebbene le modalità operative e l’obiettivo siano in linea con le operazioni di guerriglia del movimento curdo. Del resto la Tusas è fra le più grandi società della difesa, producendo droni armati e caccia usati anche contro gli tessi miliziani. 

In risposta, nelle ore successive la Turchia ha lanciato una serie di attacchi contro 47 “obiettivi” Pkk di cui 29 in Iraq e 18 in Siria, dove sono state colpite anche postazioni delle Unità di Protezione del Popolo (Ypg), affiliato al Pkk. Ankara ha poi annunciato un blocco delle trasmissioni e imposto una pesante censura sui social, giustificando il provvedimento con lo sforzo di contenere la cosiddetta “propaganda terroristica” in particolare durante i periodi di crisi o di sensibilità politica. Tuttavia movimenti attivisti come Amnesty International hanno criticato la decisione, parlando di “strategia più ampia del governo turco per esercitare il controllo sui canali di comunicazione digitale”, oltre ad alimentare una “atmosfera di paura e autocensura tra giornalisti e cittadini”. Di certo vi è che quest’ultimo focolaio di violenza sembra spegnere sul nascere l’ultima - in ordine di tempo - fiammella di speranza nel cammino di dialogo e di pace fra governo e ribelli curdi. 

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