Astana, i russi nel Paese-fratello
Secondo i dati del ministero per le migrazioni in 7mila al giorno arrivano in Kazakistan per sfuggire alla guerra. Per quasi tutti è una tappa di passaggio. La storia di chi come il giovane storico Ivan Sokolovskij cerca di integrarsi nella società kazaca.
Astana (AsiaNews) - Il Kazakistan continua ad essere uno dei Paesi dove si recano i russi che non hanno intenzione di andare a combattere in Ucraina, e che rischiano di essere perseguitati per le loro posizioni contrarie alla guerra. Per la maggior parte di loro, in fuga dalla mobilitazione, l’Asia centrale è per lo più una tappa di passaggio verso Paesi dell’Europa, l’America, o dove si trovano i familiari. Ma ci sono anche quelli che cercano di integrarsi, come il giovane storico russo Ivan Sokolovskij, intervistato da Currentime.tv.
Ivan è un nativo moscovita, laureato all’Istituto di studi su Asia e Africa, e la sua specializzazione riguarda proprio la storia del Kazakistan. Per questo aveva studiato il kazaco durante l’università, facendo delle ricerche sul tema delle deportazioni dei polacchi, su cui ha poi scritto la sua tesi. La commissione d’esame, però, ha ritenuto la sua dissertazione un’espressione di “russofobia”, e quando Putin ha annunciato l’invasione dell’Ucraina, Ivan si è esposto in picchetto solitario di protesta davanti all’edificio del ministero degli Esteri, all’inizio della centralissima via Arbat di Mosca.
Per questo è stato arrestato, quindi multato, e più volte la polizia è andata a controllarlo direttamente nel suo appartamento. Egli afferma di essere “contrario alla guerra coloniale, e alla politica coloniale del Cremlino, per la quale tutti soffrono, sia quelli dei territori invasi, sia la popolazione della Federazione russa, perfino i capitalisti russi”. Ivan ha capito subito che non poteva rimanere in patria, e si è trasferito ad Almaty, dove lavora come designer grafico presso un’agenzia mediatica di lingua kazaca, con un permesso di soggiorno provvisorio. Allo stesso tempo, sta preparando una tesi e cerca di iscriversi all’università del Kazakistan.
Sokolovskij spiega che da storico è molto attratto dalle cronache delle persecuzioni nel Kazakistan settentrionale, che la propaganda russa cerca di rivendere come oppressione nei confronti dei russi lì residenti. A suo parere si tratta di una mistificazione, che il Cremlino cerca di far passare per sostenere la sua idea coloniale e imperiale: “Nel nord del Kazakistan si è sempre vissuto di pastorizia e nomadismo, nessuno ha mai chiesto di costruire qualcosa e stabilirsi da qualche parte, e le città esistenti in questa zona sono proprio il frutto di un progetto coloniale per il controllo del territorio”, spiega il giovane storico. “Non fu un gesto di benevolenza dei Romanov o dei sovietici, o di chiunque altro”.
Secondo i dati della commissione per le migrazioni del ministero kazaco del lavoro e della difesa sociale, ogni giorno arrivano in Kazakistan circa 7mila russi, e quasi tutti se ne vanno nel giro di pochi giorni. Dopo due forti ondate di immigrazione - una subito dopo l’invasione dell’Ucraina, e una dopo l’annuncio della mobilitazione di autunno - la situazione si è relativamente stabilizzata, e neppure la “mobilitazione elettronica” dei giorni scorsi ha aumentato significativamente gli ingressi dei russi in Asia centrale.
Le autorità kazache non si aspettano altre grandi ondate di emigranti dal Paese vicino, anche per le modifiche alla legislazione che regola le norme della residenza in Kazakistan: l’abolizione del visa-run, il prolungamento della permanenza legale nel Paese a seconda dei tempi di trasferimento tra territori confinanti, e il conseguente irrigidimento del border-run, il rimpatrio obbligato di un cittadino senza validi motivi di soggiorno.
Uno dei problemi degli immigrati russi in Kazakistan e negli altri Paesi dell’Asia centrale e del Caucaso, oltre ai fattori economici e politici, riguarda proprio la capacità di integrarsi e non creare scompensi all’armonia sociale. Come cerca di fare Sokolovskij, che per competenze specifiche rappresenta senz’altro un’eccezione, ma in parte anche un desiderio condiviso da molti russi: vivere in pace nel Paese-fratello, senza apparire un intruso o un conquistatore.
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