Arcivescovo di Jakarta: Siamo contrari alla pena di morte, preghiamo per i condannati
Il governo sta preparando l’esecuzione di 14 prigionieri di più nazionalità, che sarà eseguita entro tre giorni. Sono tutti accusati di spaccio o possesso di droga. Mons. Suharyo chiede ai fedeli preghiere speciali “affinché la pena capitale sia eliminata dal nostro sistema legale”. L’Unione Europea domanda la sospensione delle esecuzioni. India e Pakistan fanno appello per salvare la vita ai propri cittadini.
Jakarta (AsiaNews) – Incoraggio “tutti i cattolici delle diocesi a recitare una preghiera speciale, con la speranza che un giorno venga approvata una moratoria sulla pena di morte ed essa venga abolita dal nostro sistema legale”. È l’appello rivolto a tutti i fedeli da mons. Ignatius Suharyo, arcivescovo di Jakarta, dopo la notizia che entro la fine della settimana 14 condannati a morte verranno uccisi in Indonesia.
In un messaggio pubblicato tramite i social media l’arcivescovo, “personalmente preoccupato da questo problema”, ha chiesto a tutti i sacerdoti della sua arcidiocesi di “disseminare l’opinione e la posizione della Chiesa cattolica su questo argomento, e allo stesso tempo di pregare per coloro che sono vicini alla morte”.
I condannati a morte sono rinchiusi in isolamento da due giorni nella prigione di Nusakambangan, Cilacap (Java Centrale) ed entro il 31 luglio saranno giustiziati tramite plotoni di esecuzione. Il procuratore generale M. Prasetyo ha confermato che le esecuzioni verranno portate a termine. I prigionieri, tutti accusati di spaccio o possesso di droga, provengono da Indonesia, Nigeria, Zimbabwe, Pakistan, India, e China. Oggi le autorità hanno consegnato 14 bare al personale della prigione.
Mons. Suharyo ha criticato la grande esposizione mediatica che sta avendo l’avvicinamento alle esecuzioni. L’arcivescovo ha poi citato l’enciclica Evangelium Vitae di San Giovanni Paolo II (1995): “Basandoci sugli insegnamenti cattolici, consideriamo la pena di morte legittima quando le opere criminali sono di estrema gravità, ma ai giudici bisogna consigliare di preferire altre opzioni, se possibile, per tutelare la dignità della persona umana”.
Da tempo la Chiesa indonesiana, insieme alla Commissione di giustizia e pace, si oppone con forza alle esecuzioni programmate dal governo di Jakarta. La Commissione ha creato un team di 11 avvocati che lavorano pro bono per le persone innocenti che vengono scambiate per trafficanti di droga.
Negli ultimi giorni ha fatto scalpore l’inserimento di Merri Utami nella lista dei 14 condannati. La donna indonesiana, lavoratrice migrante, è stata punita con la pena di morte nel 2003 per possesso di un chilo di eroina. Ieri un gruppo di persone ha manifestato di fronte al palazzo del governo chiedendo la sua liberazione: la donna infatti sarebbe vittima di un raggiro ideato dai trafficanti, che le avrebbero consegnato la sostanza a sua insaputa. Il caso è molto simile a quello di Mary Jane Veloso, donna filippina anch’essa nel braccio della morte (ma non inserita in questo turno di esecuzioni).
Per la sua volontà di eseguire le condanne, Jakarta è oggetto di critiche da parte della comunità internazionale. L’Unione Europea ha chiesto di sospendere le uccisioni. Oggi il ministro degli Esteri indiano ha rivolto un ultimo appello al governo indonesiano per salvare la vita di un 48enne accusato di spaccio. Anche il Pakistan ha intensificato gli sforzi diplomatici per ottenere la sospensione della pena per un proprio cittadino.
L’Indonesia ha una delle leggi anti-droga più severe al mondo, per combattere quella che il presidente Joko Widodo ha definito “un’emergenza nazionale”. Dal 1979 al 2015, sono state portate a termine 66 esecuzioni capitali.
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