Ankara verso nuove alleanze, costretta dalla guerra economica con gli Usa
Erdogan risponde ai dazi Usa su acciaio e alluminio con un rialzo dei tassi su alcol, tecnologia, tabacco e automobili. Dietro lo scontro l’arresto e la detenzione di un pastore Usa in Turchia. Mosca e Pechino pronte ad accorrere in aiuto ad Ankara. Il Qatar lancia un piano di investimenti per 15 miliardi di dollari.
Istanbul (AsiaNews) - La “guerra economica” in atto fra Ankara e Washington, come l’ha definita lo stesso leader turco Recep Tayyip Erdogan, potrebbe spingere il Paese ad allontanarsi sempre più dall’alleato storico Usa, a favore di Cina, Russia, Qatar e altre nazioni dell’area. L’ultimo capitolo dello scontro è di questi giorni, con la decisione del presidente di intraprendere la via della ritorsione e dell’escalation commerciale e diplomatica verso Donald Trump e il suo Paese.
Incurante degli appelli della Tusiad, la Confindustria turca che esortava ad abbassare i toni, la leadership di Ankara ha invitato a boicottare i prodotti elettronici statunitensi e firmato un decreto che rialza i dazi su alcuni beni di importazione statunitense. Fra questi vi sono le automobili (più 120%), l’alcol (140%), tabacco (60%), riso e creme solari.
Il rialzo, avverte il vice-presidente turco Fuat Oktay, è una mossa “per contrastare l’attacco deliberato dell’amministrazione Usa alla nostra economia”. Una mossa “azzardata” secondo alcuni analisti che potrebbe alimentare la tensione commerciale e diplomatica in atto. Il raddoppio dei dazi turchi su 22 tipi di prodotti ammonta a 533 milioni di dollari. Nel mirino anche i prodotti tecnologici come gli iPhone della Apple, smartphone peraltro usato dallo stesso presidente Erdogan, che invita i concittadini a rivolgersi alla concorrente Samsung.
Washington è da tempo ai ferri corti con Ankara dopo la decisione turca di arrestare un pastore evangelico americano con l’accusa di spionaggio a favore del predicatore islamico Fetullah Gulen, auto-esiliatosi da anni in Pennsylvania e ritenuto la mente del tentato golpe del 2016. In questi giorni un tribunale turco ha respinto di nuovo la richiesta di revoca degli arresti domiciliari per Andrew Brunson, che ha trascorso diverso tempo anche in carcere.
La Casa Bianca ha lanciato una offensiva economica, commerciale e diplomatica per la sua liberazione, finora invano. Lo stesso presidente Trump aveva annunciato il raddoppio dei dazi sull’acciaio e sull’alluminio provenienti dalla Turchia e di voler imporre sanzioni individuali a due ministri del governo turco. Bloccata anche la vendita di caccia statunitensi f-35.
Come conseguenza, la lira turca ha perso diversi punti percentuali e sul Paese è tornato l’incubo inflazione.
Lo scontro frontale fra i due Paesi rischia di seminare altro caos all’interno della Nato e spingere Ankara verso una nuova partnership con Mosca e Pechino. La Cina sembra essere l’unica potenza mondiale in grado di offrire finanziamenti e fondi alla Turchia “senza precondizioni”, anche se al momento è difficile ipotizzare che possa sostituire Washington come partner a tutto campo. In tema di sicurezza vi potrebbe essere un rafforzamento nelle relazioni con Mosca, con la quale sono avviati da tempo rapporti strategici e diplomatici nello scacchiere siriano.
Per risollevare economia e diplomazia, Ankara guarda anche alla regione mediorientale. In queste ore l’ambasciata turca a Beirut ha inviato un messaggio di ringraziamento per la campagna lanciata dal popolo libanese a sostegno della Turchia “sotto attacco economico” degli Stati Uniti. Intanto l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al Thani è volato in Turchia dove ha incontrato Erdogan e firmato un piano di investimenti per 15 miliardi di dollari. Una cifra che non risolverà i problemi, ma è un segnale politico importante di sostegno alla Turchia. Del resto già in passato i due Paesi avevano mostrato vicinanza su diversi dossier nella regione, schierandosi apertamente contro Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, principali alleati di Washington nel Medio oriente.