Ankara, proseguono le purghe: arrestati 600 attivisti e politici filo-curdi
Fermati diversi attivisti politici. Accuse di presunti legami con il Pkk, che Ankara considera un gruppo terrorista. Sollevati dal loro incarico diversi sindaci di cittadine a maggioranza curda. Vertici Hdp: gli arresti mirano a indebolire l’opposizione in vista del referendum sul presidenzialismo.
Istanbul (AsiaNews/Agenzie) - Negli ultimi due giorni le forze di sicurezza turche hanno arrestato almeno 600 persone, fra le quali diversi attivisti politici, per presunti legami con un gruppo curdo dichiarato fuorilegge. Una ulteriore stretta contro dissidenti e oppositori, mentre il Paese si prepara al referendum costituzionale [di aprile] sul passaggio al presidenzialismo e all’ulteriore rafforzamento dei poteri per il presidente Recep Tayyip Erdogan.
Secondo quanto riferiscono i vertici del Partito Democratico dei Popoli (il movimento filo-curdo Hdp), gli arresti mirano a indebolire ancor più l’opposizione in vista della tornata referendaria. Metà delle persone fermato sono membri dell’Hdp, portando così il totale degli arresti fra le fila del partito - solo negli ultimi mesi - a oltre 5mila.
Insieme a molti dirigenti curdi, le autorità turche hanno arrestato o sollevato dalle loro funzioni diversi sindaci di cittadine a maggioranza curda, concentrate soprattutto nel sud-est del Paese.
In una nota diffusa nelle ore successive agli arresti, la leadership dell'Hadp - fra i più strenui oppositori della riforma costituzionale - sottolinea che “non ci inchineremo mai di fronte a questa pressione e alle persecuzioni”. “Quello che cercano di impedire - prosegue il comunicato - mediante detenzioni e arresti è un ‘no’ (in sede referendaria)”.
Una fonte governativa afferma che dietro agli arresti vi sarebbero i legami fra membri dell’Hdp ed esponenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato un’organizzazione terrorista e messa al bando da Ankara. In oltre 30 anni di conflitto gli esponenti del movimento curdo avrebbero perpetrato una serie di attentati sanguinari in tutto il Paese.
Alle ultime elezioni del 2015 il partito curdo Hdp ha ottenuto più del 10% dei consensi e la possibilità di entrare in Parlamento; fino a pochi mesi fa era la seconda forza politica di opposizione del Paese, ma oggi è decimato da arresti ed espulsioni.
Dal luglio scorso, in risposta al fallito golpe le autorità turche hanno arrestato oltre 41mila persone, fra cui docenti, militari, intellettuali, oppositori politici, imprenditori, giornalisti, attivisti e semplici cittadini. Sospesi dal servizio o licenziati circa 100mila funzionari del settore pubblico.
Oltre ai curdi, nel mirino vi sono anche esponenti e simpatizzanti del movimento che fa capo al predicatore islamico Fethullah Gülen, in esilio negli Stati Uniti. Secondo il presidente Recep Tayyip Erdogan e i vertici di governo egli sarebbe la mente del colpo di Stato in Turchia in cui sono morte 270 persone, con migliaia di feriti.
Occidente e attivisti pro diritti umani rinnovano l’allerta per le purghe in atto nel Paese, in aperta violazione ai diritti umani dei cittadini. L’opinione diffusa è che le autorità sfruttino lo stato di emergenza - e la recente ondata di attentati - per eliminare ogni voce di dissenso. In questo contesto il Paese si avvia ad una modifica istituzionale, che trasformerà la nazione da Repubblica parlamentare al presidenzialismo, con un ulteriore ampliamento dei poteri di Erdogan e la possibilità di restare in carica ben oltre il 2019, attuale scadenza naturale del mandato.