Anglicani ed ebrei contro il bando europeo sui simboli religiosi al lavoro
Due dipendenti musulmane erano state licenziate per essersi rifiutate di togliere il velo. Secondo la Corte, i simboli religiosi possono essere proibiti dai datori di lavoro.
Lussemburgo (AsiaNews/Agenzie) – Esponenti della Chiesa anglicana e rabbini hanno criticato la sentenza di ieri della Corte di giustizia dell’Unione europea (Ecj) sulla possibilità di vietare i simboli religiosi sul posto di lavoro. La questione è originata da due donne musulmane licenziate per essersi rifiutate di togliere il velo, e ha riacceso il dibattito sulla libertà religiosa, coinvolgendo rappresentati cristiani e ebraici.
La Corte era chiamata a pronunciarsi su due casi, uno belga e uno francese, concernenti il licenziamento di Samira Achbita, receptionist per l’azienda fornitrice di servizi di sicurezza G4S, e di Asma Bougnaoui, dipendente della compagnia di software Micropole.
Secondo la Ecj, nel caso belga non vi è discriminazione perché la dipendente era consapevole della regola non scritta che obbligava, senza distinzione, a vestire in maniera neutrale. Diversa la posizione nel caso francese, per il quale la Corte ha rimandato la decisione finale ai giudici nazionali: in questa circostanza il divieto, motivato dalla lamentela di un cliente, potrebbe essere discriminatorio.
In base al diritto dell’Unione, un’azienda può escludere un dipendente che non si adegui alle sue politiche, ma deve avere una ragione valida e la decisione deve essere proporzionata. Secondo la Corte, la volontà di restituire un’immagine aziendale laica e neutrale rientra in questa definizione.
Dure le reazioni di alcuni leader religiosi. Sebbene la sentenza riguardi nello specifico il velo islamico, il divieto può essere applicato a tutti i simboli religiosi. La Chiesa anglicana si è scagliata contro la pronuncia, affermando che impedirebbe ai cristiani di esercitare la loro libertà religiosa. Per vescovo di Leeds, Nicholas Baines, questa sentenza “solleva questioni vitali sulla libertà di espressione, non solo di religione, e dimostra che la negazione della libertà di religione non è un atto neutrale, al contrario di quanto si vuole far intendere.”
Dello stesso tono la dichiarazione del presidente della Conferenza dei rabbini europei Pinchas Goldschmidt: “Questa decisione invia un chiaro segnale a tutti i gruppi religiosi in Europa.” Secondo i rabbini europei, con questa sentenza la Corte manda il messaggio che le “comunità di fedeli non sono più benvenute.”
In Europa, il dibattito sui simboli religiosi è una questione complessa, e spesso le giurisprudenze divergono. Ne è un esempio la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) sul caso del 2013 della dipendente della British Airways, licenziata per essersi rifiutata di nascondere la croce d’oro che portava al collo. Secondo la Cedu, il licenziamento era stato illegittimo poiché la compagnia area aveva permesso, allo stesso tempo, alle colleghe musulmane di portare il velo.
Non sono mancate reazioni da parte delle Ong. Secondo Open society justice initiative, ramo a tutela dei diritti umani nato in seno all’Ong americana Open society foundations, la sentenza indebolisce le garanzie offerte dalle leggi anti-discriminazione dell’Unione europea. “Molte legislazioni nazionali riconosceranno che il divieto di indossare il velo al lavoro è discriminazione – dice Maryam Hmadoun, funzionario amministrativo – ma nei luoghi dove la legge nazionale è fragile questa sentenza escluderà molte donne musulmane dai posti di lavoro.”
Amnesty international ha apprezzato il pronunciamento della Corte sul caso francese, perché “impedisce ai datori di lavoro di compiacere i pregiudizi dei clienti.” Ciò nonostante, afferma, proibire i simboli religiosi aprono “la porta a quegli stessi pregiudizi.”
Sono molti i casi, nelle Corti nazionali europee, che riguardano l’esibizione di croci cristiane, turbanti sikh e kippah ebraiche.