Ambasciatore Han: I 50 anni dei rapporti fra Corea e Santa Sede, l’evangelizzazione e il bene comune
Città del Vaticano (AsiaNews) - Si celebrano quest'anno i 50 anni delle piene relazioni diplomatiche fra la Corea del Sud e la Santa Sede. Per l'occasione, oggi 19 dicembre, il Segretario di Stato mons. Pietro Parolin celebra una messa presso la cappella del Collegio coreano a Roma, alla presenza di fedeli, ambasciatori e incaricati d'affari. AsiaNews ha chiesto all'on. Thomas Han Hongsoon una valutazione di questi 50 anni. L'on. Han ha svolto il ruolo di ambasciatore dal 2010 fino al 2013. Da poche settimane è stato sostituito dall'on. Francesco Kim Kyung-Surk.
Nella sua riflessione, l'on. Han sottolinea l'importante contributo che la Chiesa cattolica e il Vaticano hanno dato e continuano a dare alla nazione coreana nel campo della modernizzazione, della dignità umana, dello sviluppo e della carità. Un'inchiesta di un istituto buddista mostra che la Chiesa cattolica è stimata come la prima e più importante religione in Corea. Secondo alcune proiezioni, nel 2050 oltre metà dei coreani apparterranno alla Chiesa cattolica. Per il momento è fondamentale l'evangelizzazione e una possibile visita di papa Francesco, già molto noto e apprezzato nel Paese. Il modello coreano di rapporto con la Santa Sede potrebbe dare degli spunti anche per i rapporti diplomatici con la Cina.
Le relazioni fra Vaticano e Seoul sono vive già da molto tempo, ancora prima di questi 50 anni che ora festeggiamo. Infatti, ancora prima delle relazioni diplomatiche fra la S. Sede e la Corea, vi sono stati rapporti fra Corea e la Chiesa universale. E' importante mettere in luce quanto la Chiesa cattolica abbia contribuito allo sviluppo umano e sociale della Corea. Ciò è avvenuto già dall'inizio della Chiesa cattolica in Corea e perfino nelle persecuzioni; poi con la presenza dei missionari, i cristiani hanno contribuito alla modernizzazione del Paese e seminato lo sviluppo umano. Un esempio è l'esperienza dell'uguaglianza fra gli esseri umani e la diffusione di una cultura di amore. Nelle prime comunità cristiane coreane i padroni si sedevano affianco agli schiavi, esprimendo fraternità. Questa era una cosa inimmaginabile prima che venisse il cristianesimo.
La Chiesa ha sempre avuto a cuore il bene comune del Paese. Dopo il Concilio Vaticano II, il contributo allo sviluppo - con lo slancio verso la democrazia e la giustizia - è stato ancora più presente e abbondante. Anche dal punto di vista politico, va ricordato che perfino durante la colonizzazione giapponese (1905-1945) la Santa Sede non ha mai smesso di riconoscere i coreani come un popolo e la Corea come nazione. Alla fine della Seconda guerra mondiale, prima ancora che la Corea fosse riconosciuta dalla comunità internazionale come un Paese sovrano (1948), nel 1947 la Santa Sede ha inviato un delegato apostolico. In tal modo la Santa Sede è stata il primo Paese a riconoscere la Corea moderna, ancora prima dell'Onu.
Il delegato apostolico Patrick Byrne (1888-1950), missionario Maryknoll, non ha mai lasciato il Paese, nemmeno durante l'aggressione comunista del Nord. Per questo è stato arrestato e addirittura morto di stenti e di freddo nelle cosiddette "marce della morte" inflitte dal regime di Pyongyang. Noi lo consideriamo un martire. La Santa Sede ha voluto vivere insieme al popolo coreano questi momenti difficili.
I 50 anni di relazioni diplomatiche hanno accresciuto ancora di più il contributo della Chiesa per il popolo coreano e sono un motivo ulteriore per ringraziare di questo legame. La Chiesa ha contribuito in tutti i sensi alla dignità della popolazione e dell'individuo: diritti umani, giustizia, ma soprattutto carità. Anche nei confronti della Corea del Nord, la Chiesa continua a spingere per una riconciliazione. Cercare l'unificazione delle due Coree senza una vera riconciliazione non significa nulla. Sono molto emozionato a ripensare a tutti questi anni, vedendo questo contributo speciale che la Santa Sede e la Chiesa ha provocato nel Paese.
Tale apprezzamento è rivelato anche da alcuni sondaggi. In una recente inchiesta ad opera di un'organizzazione buddista, la religione cattolica viene valutata al primo posto, come la più stimata e importante delle religioni coreane. E questo a cosa si deve? Alla testimonianza di impegno e di unità che la Chiesa cattolica mostra e vive con la Santa Sede. La Chiesa coreana vive davvero una comunione effettiva e affettiva con il Santo Padre.
Questo ha portato anche ad una crescita strabiliante nel numero di fedeli. Nel 1960 la Chiesa cattolica aveva 500mila fedeli. Oggi siamo 5,5 milioni, l'11% della popolazione. E se si sale nella scala sociale - fra intellettuali, persone di cultura e dell'economia - questa percentuale è ancora più alta. La Corea è forse l'unico Paese al mondo, dove la Chiesa cattolica cresce di pari passo con lo sviluppo economico. Spesso si dice che con l'aumento del benessere economico e del materialismo, la fede diminuisce. La Corea sfata questo binomio perché con la crescita economica è cresciuta anche la fede cristiana. Il sondaggio cui ho accennato - svolto dall'Istituto di ricerca buddista - mostra che in futuro, nel giro di 30 anni, più di metà della popolazione coreana sarà cattolica, ossia nel 2044 vi saranno circa 25 milioni, il 56% del totale.
Del resto negli ultimi tempi, si può notare che ogni 10 anni la Chiesa cattolica ha raddoppiato i suoi fedeli. Nel 1985 i cattolici erano 1,86 milioni; nel '99 erano 2,95 milioni; nel 2005 erano 5,24 milioni. Se continua questo ritmo, con un certo realismo si può dire che la Chiesa cattolica sarà l'istituzione più diffusa nel Paese. Tutto questo proviene dalla testimonianza che la Chiesa cattolica sta offrendo al Paese: unità, e soprattutto unità col papa. Negli anni '80 abbiamo avuto il privilegio di una doppia visita di papa Giovanni Paolo II (nel 1984 e nel 1989). La venuta del papa polacco è stata un grande dono per l'evangelizzazione. Il papa è sempre il missionario più efficace ed è sempre molto ben visto dalla popolazione coreana.
Anche papa Francesco ha un impatto molto efficace sui coreani. Dopo averlo visto esprimere la sua carità, l'amore ai malati, la gioia, molti coreani si stanno interessando alla fede cattolica per farsi battezzare. Per questo una visita di papa Francesco in Corea, magari per l'anno prossimo, sarebbe importante. Lo scopo è l'evangelizzazione, promuovere ancora di più la cultura dell'amore, un amore che proviene dal Signore.
Questa crescita della Chiesa cattolica in Corea significa che mi è impossibile separare la mia identità di coreano da quella di cattolico.L'umanizzazione della Corea deriva dall'evangelizzazione. Questa è sempre il dono più grande che la Chiesa possa offrire ad un Paese. La Corea perciò sarà sempre grata alla Santa Sede e alla Chiesa cattolica.
Tutti gli insegnamenti del Santo Padre - catechesi, dottrina sociale, ecc... - hanno bisogno di essere attuati attraverso la Chiesa coreana locale e la popolazione. In tal modo anche la Santa Sede è grata alla popolazione coreana. Talvolta questo contributo della Chiesa ha avuto momenti di tensione sulla giustizia, sulla democrazia, sull'ecologia... Ma questo non toglie un sottofondo di apprezzamento costante. Per me, il periodo svolto come ambasciatore è stato un tempo di grazia abbondante. Nel mio lavoro ho cercato di rafforzare i rapporti fra Corea e Vaticano per il bene comune.
Di solito si dice che un ambasciatore è una persona inviata all'estero per mentire a favore del suo Paese. Io non ho mai avuto il bisogno di mentire perché nella diplomazia con la Santa Sede non vi è competizione o interessi contrapposti. Vi sono solo il lavoro e la promozione del bene comune: questo è l'interesse della Santa Sede e anche quello del mio Paese. Gli ambasciatori presso la Santa Sede non hanno bisogno di mentire, possono essere tutti tranquillamente onesti.Quando in modo inaspettato mi è giunta la nomina ad ambasciatore, mi sono sentito come l'asino del cenacolo (cfr. Matteo 21, 2), che il Signore fa requisire dai suoi apostoli perché "il Signore ne ha bisogno".
E come "asino" ho cercato di fare del mio meglio. Il mio ideale è stato, alla fine del mio mandato, di poter dire come san Paolo: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede". Ora io ritorno in patria: come ambasciatore torno in Corea, ma come cattolico, rimango legato al Vaticano (rimanendo membro del Pontificio consiglio per i laici). E per il futuro mi affido al Signore, che ha sempre provveduto alla mia vita al di là e dentro tutti i miei progetti.
Un tale forte legame fra un Paese dell'Estremo oriente e la Santa Sede potrebbe suggerire anche a Paesi vicini come gestire questi rapporti. Penso alla Cina. Ma tutto dipende dalla disposizione che i dirigenti cinesi hanno verso la Santa Sede, come vedono il ruolo della Chiesa cattolica in Cina e nel mondo. Oggi la Santa Sede ha rapporti diplomatici con 180 Paesi e tutti vedono il suo ruolo come altamente positivo a sostegno del bene comune. Per la Cina, rimanere senza rapporti diplomatici con la Santa Sede, la priva di un contributo molto importante nel mondo globalizzato.
*Thomas Han è nato il 17 agosto 1943. È sposato ed ha tre figli. Laureato in Economia presso l'Università Nazionale (Seoul, 1965), si è specializzato in Scienze Sociali (Economia) presso la Pontificia Università Gregoriana (Roma, 1971). È Dottore honoris causa in Giurisprudenza presso l'Università Cattolica Fu Jen di Taiwan. È stato: Docente in Economia presso l'Università Hankuk per gli Studi Esteri (HUFS) a Seoul (1972-2008); Membro del Pontificio Consiglio per i Laici (1984-2010). Oltre a rivestire altri diversi incarichi a livello nazionale e internazionale, è stato membro del Collegio Internazionale dei Revisori della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede (2008-2010). E' stato ambasciatore di Corea presso la Santa Sede dal 2010 al 2013.