Ambasciata e industrie cinesi nel mirino dei tre attentatori arrestati a Manila
Manila (AsiaNews/Agenzie) - I tre uomini arrestati dalle forze di sicurezza filippine nel corso di un tentativo, sventato, di colpire l'aeroporto internazionale di Manila stavano pianificando attentati all'ambasciata cinese e a un grande centro commerciale della capitale. È quanto affermano le autorità filippine, sottolineando che dietro la serie di attacchi vi era il proposito di rendere pubblico il malcontento verso Pechino, con il quale è in atto da tempo una feroce controversia nel mar Cinese meridionale. Come già accaduto in precedenza anche in Vietnam, in cui si sono registrati attacchi ad aziende e compagnie straniere con morti e feriti, ora anche nelle Filippine le controversie territoriali e le contrapposizioni economiche e commerciali potrebbero assumente una deriva violenta.
Secondo quanto riferisce Leila de Lima, ministro filippino della Giustizia, gli arrestati affermano di essere "difensori del popolo filippino" e considerano la Cina, i filippini di origine cinese, i loro interessi commerciali ed economici, le estrazioni illegali come dei "nemici". Il trio di arrestati (di 43, 22 e 25 anni) manifesta "particolare rancore" verso il governo di Manila, accusato di mantenere una linea fin troppo "morbida" nei confronti di Pechino. Per questi essi - ma il gruppo potrebbe essere ben più numeroso - progettavano una serie di attentati contro edifici o centri legati alla Cina o alla comunità sino-filippina.
I tre uomini verranno incriminati per terrorismo, anche se dalle prime indagini emerge che il materiale esplosivo (oltre a una pistola) a disposizione per compiere gli attentati era poco più potente di comuni fuochi d'artificio. Tuttavia l'ambasciata cinese a Manila ha chiesto al governo filippino indagini approfondite sulla vicenda e ogni azione volta a garantire "la sicurezza dell'ambasciata cinese, del suo staff e dei cittadini cinesi residenti nelle Filippine".
Intanto emerge un'altra possibile verità sugli attentati: il trio sarebbe parte di una organizzazione segreta, composta da polizia e militari, che già nel 1980 aveva tentato il colpo di mano per destituire l'allora presidente Corazon Aquino. Oggi il capo di Stato è suo figlio, Benigno Aquino, che ha ottenuto consenso e popolarità nei cinque anni di mandato. A luglio un senatore vicino al presidente aveva ipotizzato un tentativo di una parte dei militari di destabilizzare il governo; tuttavia, i vertici dell'esercito respingono al mittente l'accusa, confermando la fedeltà ad Aquino e al suo esecutivo.
Da tempo Vietnam e Filippine - che ha promosso una vertenza internazionale al tribunale Onu - manifestano crescente preoccupazione per "l'imperialismo" di Pechino nei mari meridionale e orientale; il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende isole contese - e la sovranità delle Spratly e delle isole Paracel - da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia (quasi l'85% dei territori). A sostenere le rivendicazioni dei Paesi del Sud-est asiatico vi sono anche gli Stati Uniti, che a più riprese hanno giudicato "illegale" e "irrazionale" la cosiddetta "lingua di bue", usata da Pechino per marcare il territorio. L'egemonia riveste un carattere strategico per il commercio e lo sfruttamento di petrolio e gas naturale nel fondo marino, in un'area dell'Asia-Pacifico di elevato interesse per il passaggio dei due terzi dei commerci marittimi mondiali.