20/03/2025, 12.59
PAKISTAN
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Adyala: evade un detenuto, rappresaglia contro i cristiani

di Daniele Frison

La denuncia dell'attivista per i diritti umani Xavier William ad AsiaNews: nel penitenziario di Rawalpindi, dove è detenuto anche Imran Khan, dopo la fuga di un carcerato viene impedito ai 200 cristiani reclusi di recarsi nella chiesa, l'unica aperta dal 2009 in un carcere pachistano. "Occorre garantire un equilibrio tra sicurezza e libertà religiosa: la direzione riveda la decisione".

Roma (AsiaNews) - “Abusi, discriminazioni e aggressioni”. È la sorte subita da circa 200 detenuti cristiani nel carcere di Adyala a Rawalpindi, nella provincia del Punjab, in Pakistan. A denunciarlo ad AsiaNews è Xavier William, 37 anni, attivista per i diritti i umani, che racconta di una restrizione della libertà religiosa introdotta proprio durante la Quaresima: da giorni nel penitenziario - dove è detenuto anche l’ex primo ministro Imran Khan con il suo team, insieme a terroristi di alto profilo - vige il divieto di partecipare alle attività della chiesa, la prima aperta in un carcere pakistano nel 2009 e per questo salutata allora come un passo significativo per il Paese.

Il motivo della misura è una falla emersa nella sicurezza del penitenziario di massima sicurezza, che ha permesso il mese scorso a un carcerato di evadere. Per questa vicenda 6 funzionari sono stati sospesi per 90 giorni per negligenza. Ma il giro di vite generale sulle misure detentive seguito a questo episodio ha colpito in maniera particolarmente dura la minoranza cristiana: ai detenuti è ora permesso frequentare la chiesa solo per due ore alla domenica. “Faccio loro visita in prigione e in tribunale. Stanno già affrontando molte difficoltà, sia all’interno del carcere sia nel sistema giudiziario. Sono costretti a pulire le celle e subiscono ripetuti abusi - spiega Xavier William -. Ora sono privati anche della possibilità di andare in chiesa, pregare o compiere qualsiasi attività per la loro crescita spirituale”.

L’attivista da oltre un decennio collabora con organizzazioni per la tutela dei diritti delle persone emarginate. “In questi anni ho lottato per il caso di Asia Bibi, di Rimsha Masih e di altre persone accusate ingiustamente”, racconta. Le condizioni di vita durante la detenzione riflettono le ostilità affrontate quotidianamente dalla comunità cristiana anche fuori da quelle mura. “Nelle aree più svantaggiate vive un vero e proprio incubo”, dice. 

Le misure adottate dalla direzione del carcere di Adyala sollevano serie preoccupazioni per la libertà religiosa e i diritti delle comunità minoritarie in Pakistan. “La chiusura della chiesa, in seguito all'evasione di un detenuto, è una risposta esagerata, che colpisce in modo sproporzionato i detenuti cristiani in un Paese dove questa comunità rappresenta l'1,8 per cento della popolazione”. “La misura - aggiunge - mina anche la loro possibilità di osservare importanti tradizioni religiose, come quella di trascorrere un tempo prolungato in preghiera e riflessione in vista della Pasqua”. 

La richiesta è quindi di un intervento immediato da parte del Ministro degli Interni, dell’Ispettorato generale delle carceri e di tutte le autorità competenti. “È urgente che la direzione riveda questa decisione, assicuri la riapertura della chiesa e permetta ai detenuti cristiani di praticare la loro fede senza indebite restrizioni - afferma Xavier Willam -. Bilanciare le misure di sicurezza con la protezione delle libertà religiose è essenziale per sostenere i principi di giustizia e uguaglianza in Pakistan”. 

“Invece di vietare l’accesso alla chiesa, andrebbero migliorati i protocolli di sicurezza durante le attività religiose”, propone l'attivista. Aumentando, ad esempio, di numero di sorveglianti durante le ore di culto, implementando controlli più rigorosi all’entrata e all’uscita, anche con l’ausilio della tecnologia di videosorveglianza, “per monitorare le attività senza interrompere la preghiera”. “Prevedere un accesso scaglionato alla chiesa”, aggiunge. E ancora: “Nominare consulenti spirituali o cappellani fidati per sovrintendere alle attività religiose, che lavorino a stretto contatto con le autorità carcerarie”.

Andrebbero adottate disposizioni speciali per le festività religiose - come la Quaresima, il Ramadan, il Natale e la Pasqua - per "facilitare l’osservanza spirituale". E nel caso di inevitabili interventi motivati da preoccupazioni in materia di sicurezza - continua Xavier William - occorrerebbe sempre “coinvolgere rappresentanti religiosi e leader dei detenuti per sviluppare soluzioni congiunte, in modo che le misure siano percepite come giuste e necessarie, piuttosto che discriminatorie” . Infine, sarebbe opportuno anche “istituire un comitato composto da autorità carcerarie, rappresentanti religiosi e difensori dei diritti umani per rivedere periodicamente le politiche. Per garantire un equilibrio costante tra sicurezza e libertà religiosa”.

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