13/09/2024, 13.26
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Adani guarda all'Africa, ma l'aeroporto di Nairobi sciopera

Dopo l'acquisizione del porto di Dar es Salaam in Tanzania, il gruppo del miliardario indiano Gautam Adani era in trattativa con il governo del Kenya per la cessione dell'aeroporto per 30 anni. Una decisione a cui gli operai, che temono di perdere il lavoro, si sono opposti, mentre sono emerse altre iniziative di acquisizione nel settore energetico. Nel frattempo, però sono ancora in corso indagini sulla manipolazione dei prezzi delle azioni.

New Delhi (AsiaNews) - Centinaia di lavoratori dell’aeroporto Jomo Kenyatta di Nairobi (JKIA) nei giorni scorsi hanno indetto uno sciopero per protestare contro l’acquisizione da parte del gruppo Adani, il conglomerato di aziende gestito dal miliardario indiano Gautam Adani vicino al primo ministro Narendra Modi. E che sta cercando di espandere i propri affari in Africa, nonostante una serie di indagini per truffe sui mercati azionari e riciclaggio di denaro ancora in corso. 

Anche avvocati e attivisti si sono opposti alla proposta di acquisto che prevede la cessione dell’aeroporto per 30 anni in cambio di un investimento da 1,85 miliardi di dollari. L’Alta Corte del Kenya questa settimana ha accolto la proposta, sospendendo per il momento l’accordo in attesa della prima udienza. La Law Society of Kenya (LSK) e la Kenya Human Rights Commission (KHRC), che hanno adito la Corte, sostengono che il Paese può raccogliere in autonomia la stessa cifra per ammodernare l’aeroporto. Mentre il sindacato degli operai del settore dell’aviazione temono che l'accordo comporterà un taglio dei posti e un peggioramento delle condizioni di lavoro. Altri temono, invece, che vadano persi i profitti derivanti dall’aeroporto, che al momento contribuiscono per il 5% al Pil nazionale del Kenya.

Il JKIA è uno degli hub aerei più trafficati del continente, con 8,8 milioni di passeggeri e 380mila tonnellate di merci che hanno transitato tra il 2022 e il 2023, ma spesso si verificano interruzioni di corrente e perdite dai tetti. Per l’Autorità aeroportuale del Kenya l’accordo con il gruppo Adani servirà ad aggiungere una seconda pista e potenziare il terminal per i passeggeri, e il governo ha tentato di rassicurare i sindacati dicendo che l’aeroporto non è  in vendita. 

Ma questo non è l’unico progetto che potrebbe vedere realizzazione in Kenya (e in Africa): ieri è stato confermato che il gruppo Adani ha avanzato una proposta alla Kenya Electricity Transmission Company (Ketraco), la compagnia elettrica nazionale, per l’acquisizione di alcune linee, ma la proposta è ancora in fase di valutazione, ha spiegato il responsabile del governo keniano in Parlamento.

A maggio, invece, la Adani Ports and Special Economic Zone aveva firmato con la Autorità portuale della Tanzania un accordo di cessione di 30 anni per la gestione del terminal container del porto di Dar es Salaam. Si tratta di un investimento da 39,5 milioni di dollari che garantisce ad Adani una quota di maggioranza del Tanzania International Container Terminal Services, struttura che a sua volta gestisce l'83% del traffico di container del Paese. La Adani Port è già il più grande operatore portuale privato in India, controllando il 30% di tutti i movimenti di merci lungo le coste. Ma ha anche acquisito il porto di Haifa, in Israele, e quello di Colombo, in Sri Lanka, superando la concorrenza cinese. 

Le acquisizioni di Adani si inseriscono infatti in un crescente confronto con i tentativi cinesi di riproporre una nuova versione della Belt and Road Initiative in Africa, dopo che molti Paesi hanno espresso insoddisfazione per le iniziative di Pechino. E anche l’India, come la Cina, punta ad assumere il ruolo di leader del Sud globale agli occhi del continente africano.

Tuttavia - come i kenioti non hanno mancato di sottolineare durante lo sciopero dei giorni scorsi - le autorità della Svizzera hanno congelato 310 milioni di dollari nell’ambito di un’indagine per riciclaggio di denaro e falsificazione di titoli legata al gruppo Adani. Accuse che la società ha subito dichiarato essere infondate. A gennaio dello scorso anno, la Hindenburg Research, società statunitense di ricerca sugli investimenti, aveva pubblicato un rapporto dettagliata in cui accusava Adani di manipolazione del prezzo delle azioni. A marzo la Corte suprema indiana aveva ordinato al Securities and Exchange Board of India (SEBI), che si occupa di regolare il mercato azionario, di indagare sulla questione.

Il mese scorso, però, anche Madhabi Puri Buch, a capo del SEBI, è stata accusata da Hindenburg Research di avere legami con i fondi offshore di Adani e di aver quindi inquinato le indagini a causa di un conflitto di interessi. Cinque giorni fa il Congress, il principale partito d’opposizione, ha criticato i ritardi nell’inchiesta del SEBI, affermando che un’indagine che sarebbe dovuta durare due mesi, non è ancora conclusa dopo un anno e mezzo.

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