01/02/2022, 10.20
MYANMAR
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A un anno dal golpe, il Myanmar che resiste di p. William Htoo

di Alessandra De Poli

Gli sfollati sono più di 400mila. I bambini non vanno a scuola da due anni. I combattimenti non sono più limitati ad alcune regioni, ma sono ovunque. La testimonianza di un sacerdote della diocesi di Taungoo ad AsiaNews sulle attività di assistenza della Chiesa: "Loikaw è una città fantasma, la gente scappa senza poter prendere nulla. Cerchiamo di dare aiuto, ma è sempre più complicato".

Yangon (AsiaNews) – È passato un anno dal colpo di Stato che ha sconvolto il Myanmar. Il primo febbraio 2021 la giunta militare birmana ha estromesso il governo civile guidato da Aung San Suu Kyi e preso il controllo del Paese. Al movimento di disobbedienza civile, duramente represso dal regime, si sono ricollegate le milizie etniche: alcune, dopo che erano rimaste silenziose per anni, hanno ripreso le armi e oggi i combattimenti non sono più limitati ad alcune regioni, ma “sono ovunque”.

È lo scenario che racconta ad AsiaNews p. William Htoo, segretario della diocesi di Taungoo, in una delle regioni più duramente segnate dal conflitto. “Molti ragazzi giovani che andavano all’università e sognavano carriere brillanti hanno visto il loro futuro svanire da un momento all’altro”, spiega p. Htoo. “I bambini non vanno più a scuola, sono a casa da due anni”, continua il sacerdote. “Giovani uomini e donne si sono uniti alle milizie per combattere contro l’esercito. In tutto il Paese ci sono centinaia di migliaia di sfollati”.

La resistenza non sembra avere nessuna intenzione di arrendersi. Per la giornata di oggi era previsto uno sciopero silenzioso in segno di protesta contro i generali: le persone si chiudono in casa, non vanno al lavoro, le strade delle città più grandi si svuotano. Il movimento di disobbedienza civile è scomparso dalla cronaca, ma è ancora attivo e si oppone ai soldati come nelle foreste combattono i guerriglieri delle milizie.

Poco prima di Natale i militari hanno bombardato per l’ennesima volta Loikaw, nello Stato Kayah, dove si trovava gran parte dei cristiani del Myanmar. Le fonti in loco ci spiegano che la città ora si è svuotata, semplicemente non esiste più. I dati più recenti dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, parlano di almeno 406mila rifugiati interni. L’aumento più significativo si è registrato a dicembre 2021 a causa degli scontri nel sud-est del Paese: negli Stati Kayah, Kayin, Shan e Mon si contano quasi 220mila persone definite "internally displaced" dall’Onu. Altre 32mila invece nell’ultimo anno sono scappate in India o in Thailandia. P. Htoo conferma: “Molti si preparano ad andare all’estero, cercano di lasciare il Paese e trovare un lavoro fuori perché qui c’è sempre meno lavoro e sempre più povertà”.

“Mancano il cibo e le cure mediche”, prosegue il religioso. “Gran parte del personale sanitario ha abbandonato gli ospedali statali perché non voleva lavorare con l’esercito, ma gli ospedali privati sono troppo cari”. La Chiesa locale è in prima linea nell'offrire assistenza, ma non riesce a far fronte a tutti i bisogni: “Ci sono sempre più problemi. Furti e rapine stanno aumentando perché la gente è insoddisfatta e vivere è sempre più difficile. La Chiesa cerca di indicare una strada, ma è sempre più complicato”.

Chiunque abbia bisogno di aiuto viene accolto nella diocesi. Almeno 10mila persone sono passate da Taungoo negli ultimi mesi. “La gente scappa senza prendere niente, pensa solo alla propria sicurezza. Se non ci sono soldati per le strade alcuni affrontano viaggi di 3 o 4 per cercare di recuperare qualcosa”. Le suore e i preti locali comprano cibo e ricariche telefoniche e vanno a visitare i villaggi “anche solo per dare un po’ di sostegno morale alla popolazione”.

In questo contesto l’ultima delle preoccupazioni è la pandemia: “Prima del colpo di Stato c’era grande apprensione, ma poi il covid è passato in secondo piano”. Ride p. Htoo quando lo racconta, facendoci capire che la popolazione del Myanmar non può permettersi il lusso di smettere di combattere contro la giunta militare per far fronte a una crisi sanitaria. La voglia di resistere al regime è più forte: “Tutte le famiglie sono state contagiate, anche molte suore e preti l’hanno avuto. Non c’è possibilità di fare tamponi. Nei villaggi dove si mangia tanto peperoncino si capisce di essere stati contagiati quando non si sentono più i sapori e gli odori”.

Nonostante tutta la disperazione che ha visto nell’ultimo anno, p. Htoo sorride. Perché non c’è miseria in Myanmar, ci spiegano le nostre fonti, anche se potrebbero regnare l’anarchia e il caos totale, il Paese è tenuto insieme dallo spirito di solidarietà della gente.

È passato un anno dal colpo di Stato. Quanto andrà avanti ancora questa guerra civile? “Semplificando al massimo possiamo dire che ci sono due gruppi, i civili e i militari. Entrambi vogliono controllare il Paese, ma nessuno dei due vuole cedere e arrendersi. In questo momento una negoziazione non è concepibile”, commenta il sacerdote. “Tutti pregano per la pace e affinché questa crisi politica si risolva, ma ci vorrà tempo per ricostruire il Paese e soprattutto lo spirito delle persone”.

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