A 50 anni dal Concilio, la Lumen Gentium e la riscoperta della collegialità
Roma (AsiaNews) - Una pentecoste dello Spirito, come lo immaginò Giovanni XXIII, un aggiornamento della Chiesa o il primo evento globale? Come lo si voglia definire il Concilio Vaticano II nel dicembre del 1965 restituì dopo 3 anni e 58 giorni di riflessione, 136 congregazioni generali e 527 votazioni, una Chiesa rinnovata oltre a 16 documenti ancora oggi imprenscindibili per comprendere le sfide e i compiti dei cristiani.
Tutti i padri conciliari, ma anche chi a diverso titolo fu chiamato a pensare la struttura e l'agenda dell'assemblea conciliare, erano del parere che fosse proprio la Chiesa, nella sua essenza e nei suoi fondamenti, l'oggetto dei lavori. Per questo la Lumen Gentium è senza dubbio uno dei testi chiave per valutare il Vaticano II e pesare la sua riuscita sul piano della storia. A 50 anni dall'apertura di quella straordinaria assise, la costituzione conciliare approvata dopo un iter turbolento e accidentato il 21 novembre del 1964, è la cartina di tornasole per verificare quanto il Concilio sia entrato nella vita delle comunità cristiane e nella prassi ecclesiale.
Come più volte ribadito dal card. Joseph Ratzinger, nei suoi interventi prima di salire al soglio pontificio, l'ecclesiologia conciliare ruota intorno ad alcuni temi che erano emersi con prepotenza nella riflessione teologica del dopoguerra. L'idea di Popolo di Dio, la collegialità dei vescovi, il ruolo e il senso della Chiesa dopo gli assalti della modernità, la sacramentalità dell'ordinazione episcopale e la sua rivalutazione nel rapporto con il primato del Papa, la dinamica tra Chiese locali e Chiesa univerale, la dimensione ecumenica e l'apertura alle altre fedi: erano questi i nodi irrisolti che i teologi avevano ereditato dalla brusca conclusione del Vaticano I, amplificati dall'accellerazione culturale impressa al mondo uscito dalle due guerre.
Questa materia incandescente divenne oggetto di discussione, a tratti persino drammatica, all'interno della basilica Vaticana. Alla domanda posta da Paolo VI in apertura della seconda sessione conciliare, "Chiesa di Cristo cosa dici di te stessa?", si cercarono risposte che affondassero le radici nella tradizione, recuperando dall'esperienza cristiana dei primi secoli la parola "comunione" o dall'esegesi biblica la definizione di "popolo di Dio".
Come racconta uno dei cronisti del tempo, Raniero La Valle, "Sembrava che il Concilio dovesse occuparsi solo della Chiesa. Per fortuna occupandosi della Chiesa scoprì che questa era popolo, gente, umanità e quindi superava i limiti di un discorso istituzionale, gerarchico, per approdare ad una visione non più verticale ma comunitaria, in cui era il Mistero della Chiesa, il sacramento dell'unione tra Dio e gli uomini, il centro". Un rovesciamento di prospettiva: non la chiesa come società perfetta, rigidamente costruita secondo ordini e ministeri, ma il luogo in cui Dio si svela nel suo rapporto con le creature. Non proprio la "rivoluzione copernicana" individuata da alcuni storici, visto che la definizione di Chiesa come "Corpo Mistico di Cristo" rimase prioritaria, ma accenti diversi che ridisegnarono il volto della Chiesa, in maniera più "corale". Sarà il sinodo del 1985, convocato a 20 anni dalla chiusura del Vaticano II per verificarne la ricezione, ad insistere sull'immagine di Chiesa come comunione.
Anche il laicato assume un nuovo protagonisto all'interno della comunità ecclesiale. Proprio la costituzione sulla Chiesa valorizza il compito e la missione di tutti i battezzati, promuove la ministerialità di tutti per il bene del mondo. "Il laico all'apertura del Concilio - racconta un osservatore attento come Gianfranco Svidercoschi - era un oggetto misterioso. Non aveva una definizione teologica, non era né carne, né pesce, né chierico né religioso. L'aver posto il capitolo sul Popolo di Dio prima di quello sulla gerarchia nella costituzione ha permesso una maturazione dell'intero corpo ecclesiale." Seppure la categoria teologica del "Popolo di Dio" fu in seguito strumentalizzata, prestandosi ad una lettura ideologica e politica in chiave marxista, è indubbio che costituì una delle più rilevanti novità del Vaticano II.
Con la Lumen Gentium, si definisce inoltre anche il rapporto tra il successore di Pietro e il collegio degli apostoli, tra il Papa e i vescovi. Il Concilio attesta la "sacramentalità dell'Episcopato", ripensando la figura del Pastore e gli ambiti del suo ministero. I padri conciliari riscoprirono la "collegialità", il suo valore per la Chiesa, enfatizzando il ruolo dei vescovi, dopo lo sbilanciamento a favore del primato di Pietro e dell'infallibilità del pontefice sanciti dal Vaticano I. Spiega mons. Rino Fisichella (presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione) "Pietro è il primo dei vescovi, colui a cui è stato dato il potere delle chiavi. Il Concilio non mette in discussione il suo primato, ma afferma che non viene svolto in solitudine, al contrario in una compagnia di fede, attraverso un collegio a cui lui stesso appartiene. Il Papa mantiene le prerogative che sono quelle che Cristo stesso gli ha conferito, ma egli sa che ha accanto a sé i successori degli apostoli. E' un collegio che si riconosce cum Petro e sub Petro, espressioni che fanno comprendere l'equilibrio e la novità stessa apportata dai testi conciliari".
Naturalmente basta guardare alla storia degli ultimi 50 anni per riconoscere come proprio al concetto di collegialità si devono strutture e iniziative che hanno reso più corrispondente la Chiesa alla sua vera natura. Le conferenze episcopali nazionali, quelle continentali, lo strumento del Sinodo, riportato in auge dal Concilio grazie al confronto con la tradizione orientale, hanno permesso una maggiore corrispondenza della Chiesa alla sua missione. Oggi vediamo vescovi di mondi lontani collaborare con il pontefice al governo della Chiesa, confrontare esperienze diverse su problemi comuni, partecipare in responsabilità nella sfida dell'evangelizzazione, diventare segno di unità nel mondo.
La Chiesa consegnata al mondo dalla Lumen Gentium aveva acquistato maggiore consapevolezza, si ritrovava cattolica e missionaria, lanciata verso la santità, decisamente più dinamica. I bastioni che il teologo Hans Urs Von Balthasar invitava ad abbattere nel suo celebre saggio del 1952 erano stati minati, la Chiesa aveva sgretolato le mura difensive e si porgeva rinnovata al mondo moderno e alla sua cultura. Scoprendosi forse anche più vulnerabile.
11/10/2022 18:09