11/12/2024, 14.30
TURCHIA - SIRIA
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P. Monge: rifugiati siriani e curdi, la doppia partita turca nel dopo-Assad

di Dario Salvi

Da Istanbul il direttore del Centro culturale domenicano riferisce ad AsiaNews di un misto di “esaltazione” e “sorpresa” di fronte alla caduta del regime di Damasco. Ankara smentisce le voci di partecipazione diretta al rovesciamento di Bachar ed evidenzia la “necessità di una transizione”. Khamenei parla di un “piano” di Usa e Israele (e Turchia, ma senza nominarla)

Milano (AsiaNews) - Il crollo del regime di Bashar al-Assad in Siria è stato accolto nella vicina Turchia con un misto di “esaltazione” che va di pari passo alla “sorpresa generale” per la rapidità con la quale è avvenuto. “Almeno in via informale” da almeno sei mesi "circolavano notizie di un’azione” per rovesciare la leadership di Damasco, ma “nessuno si aspettava che potesse essere così veloce e repentina”. Raggiunto al telefono da AsiaNews p. Claudio Monge, 56enne frate domenicano e direttore del DOST-I (centro culturale Domenicano), da oltre 20 anni a Istanbul, racconta il clima che si respira in queste settimane convulse per la regione mediorientale. “Ankara smentisce le voci di partecipazione diretta al rovesciamento di Bachar” nell’offensiva di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) - prosegue - ma ha posto l’accento sulla “necessità di una transizione”. “Lo stesso presidente Recep Tayyip Erdogan - afferma il religioso, responsabile del Centro per il dialogo interculturale e interreligioso DoSt-I (Dominicans Study Istanbul) - l’ha definita necessaria perché il Paese possa autodeterminarsi e per un futuro inclusivo, minoranze comprese”.

Analizzando la fase convulsa seguita alla cacciata del dittatore in seguito all’avanzata degli oppositori guidati da Abu Mohammad al-Jolani (il cui vero nome è Ahmed al-Shareh), p. Monge evidenzia il “doppiopesismo” dell’Occidente. Da un lato la preoccupazione per l’intervento turco sul fronte siriano, finalizzato ad arginare le milizie curde, a suo tempo l’attore scelto proprio dall’Occidente nella lotta contro lo Stato islamico. Dall’altro un silenzio totale sull’azione del governo israeliano che sta compiendo centinaia di attacchi in Siria [oltre 300 negli ultimi giorni, con voci di truppe a poche decine di chilometri dalla capitale e le alture del Golan siriano occupate] col pretesto di garantirsi la sicurezza territoriale”. Verso Tel Aviv vi è “maggiore indulgenza” che per Ankara, in un quadro di guerre “dichiarate e non” con l’obiettivo di ridisegnare il Medio oriente”.

Stamattina ha parlato anche il leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, il quale ha affermato che il “rovesciamento” di Assad è un “piano” di Stati Uniti e Israele; a questi, egli aggiunge “il ruolo” di “uno dei vicini”, con un riferimento proprio alla Turchia senza nominarla, che avrebbe sostenuto l’avanzata dei ribelli, che assieme alla forze filo-turche hanno assunto oggi il controllo di Deir Ezzor strappandola ai curdi. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong con base nel Regno Unito e una rete di informatori sul terreno, sostiene che per il quarto giorno di fila Israele ha colpito l’arsenale siriano. Una serie di azioni militari condannate da Mosca, perché non aiuterebbero a raggiungere la pace, mentre i ribelli hanno nominato il 42enne Muhammad Bashir primo ministro ad interim, chiamato a guidare la transizione dopo gli anni trascorsi a Idlib. 

In Turchia, la cacciata di Assad tocca due fronti che rappresentano anche il nervo scoperto della leadership: l’emergenza rifugiati (in gran parte siriani, quasi 3,8 milioni su oltre 5 milioni) e la questione curda. In queste ore sta riaprendo il valico di frontiera fra Siria e Turchia di Yayladağı, chiuso dal 2013, tanto che centinaia di profughi si sono riversati nei pressi di Cilvegozu, sul confine meridionale, per tentare di rimpatriare “con i pochi beni in possesso. Dovremmo renderci conto che i flussi migratori - osserva p. Monge - sono conseguenza di situazioni disperate, della guerra e della privazione dei diritti, oltre alla questione climatica. I rifugiati siriani cercano ora di rimpatriare, sognando di ritrovare la loro terra liberata dal dittatore, ma la realtà che li accoglierà sarà ben diversa da quella lasciata oltre 10 anni fa, con distruzioni ed edifici rasi al suolo. Certa è solo la caduta di Bashar, ma permane anche una profonda incertezza per il futuro”. 

Il rimpatrio di una parte dei rifugiati siriani, in una prospettiva di medio periodo, non dispiace certo a un Paese come la Turchia - tanto fra i vertici, quanto a livello di opinione pubblica, in un quadro di crisi economica drammatica. Buona parte della popolazione turca fatica a vivere - o sopravvivere - in modo dignitoso e in molti casi i migranti, perlopiù siriani, hanno rappresentato il capro espiatorio ideale su cui scaricare la rabbia; un tema sfruttato anche dalla campagna elettorale per le ultime presidenziali. “Fino a qualche anno fa - racconta il religioso - era impensabile vedere persone mendicare per le strade di Istanbul, mentre oggi vi sono donne con i loro bambini piccoli in braccio a chiedere l’elemosina”. Anche per questo Ankara, che ha sostenuto grandi spese e notevoli investimenti in passato per i rifugiati siriani nel nome di una comune fratellanza musulmana, oggi spera che “molti decidano di rimpatriare. Del resto, rientrare nella propria terra e di vivere in pace nel proprio Paese - osserva p. Monge - è un diritto umano fondamentale” che si lega al desiderio di “contribuire a ricostruire una nazione che deve ripartire da zero, comprese le infrastrutture”. 

Ai rifugiati si sovrappone la questione curda, altro grande tema che coinvolge la Turchia in una prospettiva regionale assieme a Iran, Iraq e la stessa Siria, con le forze Ypg (Unità di protezione popolare) sostenute (e sfruttate) dall’Occidente nella lotta contro l’Isis. “Da tempo il governo - ricorda - vuole creare una zona cuscinetto nel nord della Siria per ‘contenere’ l’avanzata curda e contrastare il sogno di un ‘Grande Kurdistan’, che oggi appare improbabile”. “I curdi - spiega - sono stati utilizzati nei primi anni come ariete nella lotta anti-jihadista, poi hanno cercato di passare all’incasso ma è altrettanto chiaro che Ankara non può accettare una eventuale erosione di sovranità territoriale”. Inoltre vi sono “milioni di curdi nati e cresciuti in Turchia che non hanno certo intenzione di andarsene”. “La questione resta aperta - afferma - perché vi è anche qui un diritto a vivere nella propria terra, col riconoscimento della lingua e della cultura, ma è un processo che va affrontato con la politica e non con i cannoni. Abbiamo bisogno di politica e diplomazia per la ricerca di una soluzione alle crisi mondiali! Ma la politica latita”.

Vi è infine il tema dei cristiani, che “desiderano essere attori a parte intera del futuro dei loro paesi e non hanno bisogno di essere imprigionati in uno statuto vittimistico e d’eccezione, che li rende sospetti ai poteri locali” afferma il domenicano. “Bisogna superare la logica delle Chiese etniche - conclude p. Monge - lottando per una piena e riconosciuta cittadinanza, nel rispetto della particolarità religiosa”. 

Di giornate “di grande importanza” parla anche il parroco di Aleppo p. Bahjat Elia Karakach. In un messaggio inviato ad AsiaNews, il frate della Custodia di Terra Santa evidenzia il “cambiamento che la maggior parte di noi non aveva mai sperimentato, visto che il regime di Assad governava da 54 anni” e la gente appare “disorientata” con “sentimenti misti di gioia e sollevazione, ma anche di ansia per il futuro”. In un incontro con i vescovi e il clero tenuto nei saloni della parrocchia di san Francesco d’Assisi, i leader dell’opposizione ora al potere hanno assicurato il proposito di “garantire sicurezza e soddisfare l’emergenza delle prime necessità. Poi si procederà a fornire i servizi necessari perché le attività riprendano il loro corso”. I beni ecclesiastici “saranno restituiti e le scuole private cristiane continueranno la loro missione educativa” promettono i nuovi vertici, che sul “dopo” dicono “di non avere un progetto predeterminato, tutto dipende dalla volontà del popolo siriano”, compresi i cristiani che non sono “stranieri” ma “parte essenziale come lo siamo anche noi”. Infine, il parroco sottolinea lo shock di fronte alle immagini “delle carceri sotterranee aperte per liberare i detenuti politici: luoghi di morte” che evocano i “campi di concentramento nazisti”.

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