“Un ruolo più costruttivo” per Pechino contro il massacro del Darfur
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Liu Guijin, inviasto speciale cinese, al termine del viaggio in Sudan la settimana scorsa non ha portato risultati immediati per fermare il massacro del Darfur, ma solo “speranze” di miglioramenti. Ma la novità è il dichiarato intervento di Pechino su Khartoum, dopo che per anni l’ha protetta dalle sanzioni Onu e ne è diventata il primo partner commerciale, specie per il petrolio.
Secondo l’agenzia statale Xinhua, Liu ha “espresso la volontà del governo [cinese] di svolgere un ruolo più costruttivo nel Darfur”. Si è detto “fiducioso” che Khartoum sia “più flessibile” riguardo al piano di pace delle Nazioni Unite e ha “sottolineato l’importanza di accelerare l’intervento politico nel Darfur” e di “migliorare la sicurezza e la situazione umana della regione”.
Jiang Yu, portavoce del ministro cinese degli Esteri, ha confermato che l’inviato speciale cinese ha insistito perché il Sudan accetti il piano Onu con l’invio di una forza di pace internazionale di 20mila uomini. Il presidente sudanese Omar al-Beshir l’ha sempre rifiutato, dicendosi disponibile a una forza di pace dei Paesi africani, con un supporto solo tecnico dell’Onu. La Cina ha finora opposto il diritto di veto all’Onu alle proposte di sanzioni contro il Sudan per fargli accettare il piano di pace.
Dall’inizio della guerra civile nel 2003, l’Onu parla di oltre 200mila morti in Darfur (altre fonti dicono 450mila), per la guerra ma anche per le conseguenti epidemie e carestie, mentre il Sudan ammette “solo” 9mila morti; altri 2 milioni di persone sono dovute fuggire e molte vivono in campi profughi nel Ciad. L’Onu accusa Khartoum di fornire denaro, armi e veicoli alle milizie nazionaliste chiamate janjaweed (“demoni a cavallo”) che compiono massacri contro i civili nei villaggi e nei campi profughi. Si dice che almeno il 70% dei ricavi del petrolio è impiegato per comprare elicotteri, bombe e armi leggere usate contro i civili.
Pechino è stata accusata di sostenere Khartoum per proteggere i propri interessi nel Paese, anzitutto per il petrolio e persino di vendere armi al Sudan. Nel mese di aprile Pechino ha importato dal Paese 222mila barili di petrolio al giorno, con un aumento del 539% rispetto all’aprile 2006 (4° maggior esportatore in Cina) e prevede di arrivare a 600mila barili entro il 2007. Dal 1999 Pechino ha qui investito almeno 15 miliardi di dollari e ci lavorano almeno 10mila cinesi. La statale China National Petroleum Corp (Cnpc) ha investito circa 5 miliardi di dollari e invia in Cina tra il 50 e l’80% del petrolio estratto in Sudan. Il Darfur è ricco di petrolio: nell’aprile 2005 vi sono stati trovati giacimenti capaci di produrre 500mila barili di greggio al giorno. Analisti dicono che proprio questa ricchezza è tra le cause del massacro.
Cresce la pressione internazionale perché la Cina, primo partner commerciale del Sudan, intervenga per far accettare al Sudan la forza di pace Onu. Negli Stati Uniti c’è una campagna di opinione contro investimenti nella Cnpc e in altre ditte cinesi attive nel Sudan, accolta da ditte primarie come Fidelity Investments. Alcuni parlamentari Usa hanno proposto di boicottare le Olimpiadi del 2008 se Pechino non muterà politica verso il Darfur. Anche attivisti per i diritti umani in Europa e Usa parlano di “Genocidi [“Giochi”] Olimpici” e invitano gli sponsor a chiedere alla Cina di intervenire per fermare il genocidio.
Intanto a maggio Pechino ha proposto l’invio di 275 suoi ingegneri militari per sostenere la forza di pace dell’Unione Africana già presente. Ma altri esperti sono scettici e aspettano di vedere risultati. Osservano che Pechino spesso non si cura delle conseguenze delle sue attività all’estero e ricordano che in Sudan 70mila persone saranno spostate dalla fertile Valle del Nilo in una zona desertica per realizzare una diga finanziata dalla China Eximbank. (PB)