“Senza aiuto, di fronte all’aggressione cinese”
Dharamsala (AsiaNews) – “E’ importante che la comunità internazionale chieda alla Cina [cosa accade in Tibet] e faccia pressioni perché Pechino consideri le richieste dei tibetani e fermi le violenze a Lhasa”. Tsewang Rigzin, presidente del Congresso dei giovani tibetani, uno dei gruppi organizzatori della Marcia di ritorno degli esuli dall’India al nativo Tibet, parla ad AsiaNews della situazione in Tibet e della posizione del Dalai Lama.
“La Cina – dice - parla di rivoltosi ma le proteste erano pacifiche. La Cina vuole diffondere notizie false”. Ma non è d’accordo con il Dalai Lama, quando dice che i tibetani non vogliono l’indipendenza da Pechino ma solo una maggior autonomia. “Noi tibetani vogliamo l’indipendenza, ognuno deve lottare per un Tibet libero, è un nostro dovere. Comunque il Dalai Lama predica la non violenza e noi seguiamo la stessa strada”.
Rigzin è uno dei 100 che hanno iniziato la marcia a Dharamsala l’11 marzo. Non è d’accordo quando il Dalai Lama dice che le Olimpiadi non vanno boicottate perché sono comunque un evento positivo per la Cina. “La Cina – commenta – non merita di ospitare le Olimpiadi, per le violazioni dei diritti umani, nell’intero Paese e ancor più in Tibet. Il Paese ha promesso di migliorare la situazione dei diritti, mentre le violazioni dei diritti da parte del governo cinese sono innumerevoli”.
Ieri il Dalai Lama in una conferenza stampa a Dharamsala aveva detto che “la Cina in Tibet sta realizzando una sorta di genocidio culturale, intenzionale o meno”. Richiesto di cosa farà per fermare la violenza ha risposto che “non ho tale potere, mi sento privo di aiuto”. Si è appellato alle organizzazioni internazionali perché intervengano e “dicano cosa è successo in Tibet” e ha espresso preoccupazione per cosa accadrà allo scadere dell’ultimatum cinese di oggi, perché “se le autorità cinesi vogliono fermare le proteste con l’aiuto delle armi, anche i tibetani sono ugualmente determinati a proseguire le proteste”. Ha espresso il "sospetto" che ci sono stati "intorno a 100 morti". Ha anche commentato che la confinante India è “troppo prudente” sul problema.
Intanto l’India, con una dichiarazione molto attenta, ha soltanto auspicato che “tutte le parti coinvolte operino per migliorare la situazione e rimuovere le cause degli attuali problemi in Tibet, che è una regione autonoma della Cina, attraverso il dialogo e con metodi non violenti”.