“Nei fragili disabili di Hong Kong vedo il volto di Gesù”
Il p. Giosuè Bonzi, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere, festeggia 50 anni di sacerdozio di cui 49 passati nell’ex colonia britannica: “Appena arrivato non riuscivo a comprendere quale contributo avrei mai potuto dare”. Con il tempo, e attraverso la sofferenza anche fisica, nasce un progetto destinato a lasciare un grande segno: la Fu Hong Society, che oggi cura e reinserisce nella società migliaia di portatori di handicap.
Hong Kong (AsiaNews) – Appena arrivato a Hong Kong, 49 anni fa, p. Giosuè Bonzi non aveva idea di quale contributo pratico avrebbe potuto fornire per l’evangelizzazione dei cinesi: “Mi sentivo sovrastato dall’impotenza, e i primi problemi fisici della mia schiena non aiutavano la situazione. Mi rivolsi al Superiore generale del Pontificio Istituto Missioni Estere dell’epoca, mons. Pirovano, e gli chiesi di poter tornare in Italia o di essere destinato a un luogo dove avrei potuto fare di più. Mi rispose: ‘Ti ho mandato dove voglio che tu sia. E ora resti lì. Ciao!’. Fu l’inizio di un nuovo e lungo cammino”.
Il p. Bonzi è in Italia per festeggiare i 50 anni di sacerdozio, e ad AsiaNews racconta una vita di missione e di “meravigliosi incontri guidati dallo Spirito”. Primo fra tutti proprio l’incontro con la Cina: “Negli anni in cui frequentavo il seminario, si cantava chiedendo l’aiuto di Gesù per portare il Vangelo ‘alle orde di infedeli’. Il Concilio Vaticano II doveva ancora arrivare, e il concetto di missione era molto diverso da quello che esiste oggi. Per fortuna, direi, perché proprio il Concilio ha adattato la Chiesa e la missione al mondo”.
Ciò non toglie che il primo impatto con la missione “sul campo” fu di portata enorme: “Quando arrivai a Hong Kong c’erano nel Pime due ‘gruppi’ distinti di confratelli, che insieme superavano le 70 unità. Da una parte c’erano gli espulsi dalla Cina, i ‘patriarchi’ della missione in Cina, e dall’altra noi numerosissimi giovani. Dopo la risposta del Superiore non avevo più dubbi su ‘dove’ fosse la mia missione, ma rimaneva sempre aperta la questione sul ‘modo’”.
In un primo tempo “avevo pensato all’ipotesi di lavorare come operaio – ai tempi Hong Kong era nel pieno del suo boom industriale – ma un’ernia del disco mi ha bloccato. Ho subito per vari motivi più di 20 operazioni chirurgiche, e di certo il lavoro manuale non era fra le mie possibilità. Ho vissuto un momento di scoramento, per questo, ma sentivo che la mia strada da qualche parte c’era. Anche in questo dubbio venne in mio aiuto la Provvidenza, che mi fece trovare accanto per alcuni anni al compianto confratello p. Enea Tapella. È stato lui ad incoraggiarmi nell’intraprendere la strada del cammino e della condivisione con i più ‘fragili’ di Hong Kong”.
Il confratello del Pime ha infatti iniziato – siamo negli anni Settanta – un primo percorso di integrazione per i disabili e i portatori di handicap del Territorio: “Lo stigma sociale e la reclusione in cui vivevano all’epoca erano davvero terribili. Era difficile vedere disabili per le strade, e i genitori li tenevano nascosti come fossero una vergogna. Insieme a p. Enea abbiamo iniziato alcune piccole attività per integrare queste persone, iniziando dai più giovani”.
Un incidente porta via p. Tapella a soli 48 anni di età: “La sua lunga agonia e morte mi hanno spinto sempre più nell’attività da lui iniziata e soprattutto nella riflessione sul tema dell’evangelizzazione e del ruolo dei più piccoli, deboli e ‘fragili’ nella missione della Chiesa”. Ma oltre alla testimonianza del missionario, p. Bonzi ha la fortuna di incontrare o conoscere gli scritti di Jean Vanier – incontrato in Francia a Trosly-Breuil – e il sacerdote di origini olandesi p. Henry J. M. Nouwen, famoso docente presso la "Yale Divinity School" e per i suoi tanti libri di spiritualità, di cui ho letto la maggior parte.
Nell’appello vi è anche Madre Teresa: “L’ho incontrata per poco a Hong Kong, ma ho avuto modo di servire come confessore le sue suore della comunità principale nel Territorio”. Infine l’esempio permanente dei suoi disabili: “Sono le risorse più preziose che la Provvidenza mi mette a disposizione, per una più approfondita comprensione. Nella loro fragilità, nella loro disabilità vedo il volto di Gesù Cristo”.
Proprio per aiutare loro, nasce dagli sforzi dei padri Bonzi e Tapella quasi 40 anni fa la Fu Hong Society: “Il primo compito era quello di aiutare i disabili e le loro famiglie nelle difficoltà della vita quotidiana. Con il tempo siamo cresciuti creando case-famiglia, strutture di sostegno per i disabili mentali e portando avanti attività per il reinserimento dei portatori di handicap”.
La Fu Hong di Hong Kong oggi conta quasi mille operatori, impiegati a tempo pieno: “Sono loro che aiutano circa 4mila persone, per lo più portatori di handicap mentale ed ex pazienti dimessi dagli ospedali psichiatrici: lo scopo è sempre quello della riabilitazione e dell’inclusione nella comunità”. Le case-famiglia, per ovvi motivi a numeri ridotti, sono fondamentali: “Io vivo in una di queste case, che cercano di essere ‘ponte’ fra le strutture sanitarie e il mondo. Per le persone che aiutiamo, rappresentano il momento più delicato e più importante”.
Ma la struttura si espande: “Dall’aprile 1978 viaggio all’interno della Cina e dal 1990 dirigo il Comitato della ‘FHS’ per gli ‘Scambi di Programmi’ con Cina, Macao e Taiwan. Abbiamo avuto modo di aprire centri e strutture in tutto il mondo cinese, e ora quest’opera festeggia 40 anni. Quasi non mi sembra vero”. A Macao gli assistiti sono quasi 300, e altrettanto rilevante è l’impegno nato nel 2010 con la città cinese di Nanchino: “La diocesi ha aperto una struttura simile alla nostra, chiamata ‘Arca di Nanjing’ (‘Nanjing Fangzhou’). Su loro richiesta ho fatto la spola per tanto tempo, per aiutare nella formazione del personale e nella consulenza circa la gestione dei Centri e dell’Associazione dei Genitori, accompagnandovi di volta in volta esperti volontari per lo più della Fu Hong”.
Ma la cosa più importante, e per la quale p. Bonzi ringrazia Dio, “è sempre per il privilegio di accompagnare e di essere accompagnato dagli amici con handicap, i quali mi educano e mi fanno sentire che Lui è davvero sempre con noi, ogni giorno, se sappiamo riconoscerlo là dove egli ha scelto di farsi trovare, nei piccoli del Regno”.
02/08/2019 14:54