“Dimenticata”, ma non finita la Guerra fra Nord e Sud Corea
Seoul (AsiaNews) - Il 25 giugno in molte località della Corea del sud gruppi di veterani, familiari delle vittime e cittadini di ogni estrazione si sono radunati per commemorare l’anniversario dell’inizio della “guerra di Corea” (1950-53). Cinquantanove anni fa all’alba di quel medesimo giorno su ordine del dittatore comunista Kim Il-sung decine di migliaia di truppe dell’armata del nord, attraversato il fiume Han, hanno dato inizio a una guerra fratricida che si è conclusa il 27 luglio del 1953, non con un trattato di pace ma con un semplice armistizio firmato dalla Corea del nord, dalla Cina e dal comandante supremo dell’esercito delle Nazioni Unite in rappresentanza della Corea del sud.
Quell’orribile guerra, scatenata da differenze ideologiche, ha ridotto la penisola a un cumulo di macerie e, secondo le ricerche degli storici, è costata la vita a oltre tre milioni e mezzo di persone: 970.000 coreani del sud, 1 milione e 700.000 coreani del nord, 900.000 truppe cinesi e 150.000 militari, per lo più americani, delle forze armate delle Nazioni Unite.
Il primo ministro sud-coreano, Han Sung-soo, nel discorso commemorativo pronunciato in una piazza nel centro di Seoul, dopo aver espresso “rispetto e gratitudine per coloro che hanno sacrificato le loro vite nel conflitto”, ha detto che “il Sud e la comunità internazionale potranno aiutare il Nord se esso abbandonerà il suo programma nucleare il più presto possibile”, facendo chiaramente intendere che il governo affronterà con severità “qualsiasi forza” che minacci la sicurezza della nazione.
L’allusione alle recenti minacce bellicose del regime di Pyongyang era evidente. Quasi come conferma del pericolo, nello stesso giorno, il Rodong Shinmun, quotidiano del partito dei lavoratori nord-coreano, ha detto che la Corea del nord potrebbe lanciare un attacco nucleare contro il Sud. In realtà l’editoriale e’ stato un rabbioso commento sull’incontro al vertice tra il presidente sud-coreano Lee Myung-bak e il presidente degli Stati Uniti, avvenuto il 16 giugno alla Casa Bianca. Il quell’occasione Barack Obama ha assicurato a Lee una “deterrenza allargata” contro il Nord.
La “guerra dimenticata”
Nello stesso giorno Jeffrey Miller, corrispondente del The Korea Times, in un saggio dal titolo “Come ho scoperto la guerra dimenticata”, ha descritto i soldati americani che hanno combattuto in quel conflitto come “uomini ordinari chiamati a compiere cose straordinarie che hanno creduto in ciò che facevano per salvare la Corea del Sud”. Recentemente alcuni veterani superstiti, venendo qui come turisti hanno sentito profonda soddisfazione nel constatare come era diventata libera e ricca la nazione per la quale avevano combattuto.
Ma la commemorazione non è stata sentita universalmente proprio nella nazione interessata. “Qui, osserva Miller, c’e’ una dicotomia tra la vecchia e la nuova generazione. Mentre gli anziani ricordano vividamente gli orrori, le sofferenze e le perdite di vite umane di quella guerra, molti giovani non condividono quei ricordi e guardano solo al futuro”.
Secondo un’inchiesta curata dal ministero della pubblica sicurezza, risulta che molti nipoti dei coreani che hanno combattuto e sono morti allora non sanno neppure quando quella guerra è cominciata. Un professore universitario avendo chiesto ai suoi studenti quali delle due parti (nord o sud) ha invaso l’altra per prima, la metà circa ha risposto che è stato il Sud a invadere il Nord!
La spiegazione dell’assurda ignoranza si trova nella tattica dell’infiltrazione che Kim Il-sung, prima, e poi il figlio Kim Jong-il, hanno adottato ispirandosi alla strategia perseguita dal vietnamita Ho Chi Min per la conquista della parte meridionale del Vietnam, che comportava guerriglia terroristica e massiccia propaganda. Ma dopo la pubblicazione di documenti declassificati dell’ex-Unione sovietica, anche gli attivisti dell’estrema sinistra sud-coreana non possono più negare che l’invasione della Corea del sud e’ stata iniziativa del regime del Nord.
Una guerra che continua
Dal 1994 i governi di Washington e di Seoul si stanno impegnando per trasformare l'armistizio permanente in un trattato di pace e dal 2002, su iniziativa della Cina, sono in corso i "colloqui a sei" (Cina, Corea del nord e del sud. Stati Uniti, Giappone e Russia) per indurre Pyongyang a rinunciare al programma nucleare in cambio di imponenti aiuti economici. In realta’ i colloqui sono “uno contro cinque”:, cioe’ il governo della Corea del Nord, da una parte e quelli degli altri cinque dall’altra.
Pyongyang ha reso vani gli sforzi, ricorrendo, dapprima, alla tattica della dilazione e recentemente a minacce pesanti: il 25 maggio ha proceduto alla seconda esplosione nucleare sotterranea e ha già annunciato il lancio di un missile Taepong a lunga gittata nella direzione delle Hawaii. Un certo atteggiamento d’intransigenza del governo di Seoul ne è il pretesto.
La “guerra dimenticata” non è ancora cessata. Di fatto le due metà della penisola sono tra le regioni più agguerrite del mondo. La Corea del nord dispone di un esercito di 1 milione e 100.000 truppe, disposte, per la maggior parte, nelle vicinanze del 38mo parallelo. Immediatamente a nord della zona demilitarizzata ha disposto un’artiglieria di 1100 obici con una gittata di 60 chilometri. Seoul, con i suoi 11 milioni di abitanti, si trova a soli 40 chilometri dalla linea del fuoco del nord!
Lo stato maggiore dell’esercito del Sud non sta a guardare passivamente. Ha aggiornato il programma di difesa in modo da rispondere immediatamente e con la massima rapidità ad ogni attacco dal Nord. Pur avendo diminuito numericamente il suo esercito (da 47 a 28 divisioni: 520.000 truppe) ne ha grandemente potenziato l’efficacia con divisioni meccanizzate ad alta tecnologia, veicoli tattici e sostegno dell’aviazione.
Lo spirito della riconciliazione chiave della soluzione
"Se vuoi la pace, prepara la guerra" dicevano gli antichi romani. Sei decenni di antagonismo crescente tra nord e sud, che ha portato a un passo da un’irreparabile tragedia, denuncia la fallacia del vecchio principio.
La soluzione del problema non sta nei rapporti di forza ma nella conciliazione degli spiriti. Da almeno tre decenni la Chiesa cattolica nel sud della penisola si sta impegnando a tutti i livelli per diffondere e nutrire questo spirito di riconciliazione con catechesi capillari, miranti anche a far riflettere sulle responsabilità dei fratelli del sud e organizzando campagne di imponenti e incondizionati aiuti economi per i fratelli del nord